P3, FASCICOLI DIMENTICATI E GIUSTIZIA BOLOGNESE


Nel 2009 un’ispezione ministeriale scopre che 2.321 fascicoli di indagine, per i quali il Tribunale aveva già fissato la data d’inizio del processo, sono “parcheggiati” all’interno di un armadio della Procura di Bologna.

Malgrado fosse corretto avviare le citazioni a giudizio, cioè le notifiche alle parti interessate, quei procedimenti sarebbero finiti sotto vuoto all’interno di un armadio, dimenticati. Destinati alla prescrizione, anzi sottoposti a una forma di curiosa eutanasia. La Stampa sollevò dubbi circa il fatto che nessun pubblico ministero titolare del fascicolo “congelato” avesse nutrito la necessità di chiedere dove fosse finita la sua inchiesta.

Incuria , sovraccarichi, difficoltà di fare fronte a centinaia di migliaia di procedimenti che pure contenevano le vite di vittime e autori di reati importanti quali furti, truffe, lesioni, infortuni sul lavoro e altro ancora.

Il Corriere della sera dell’epoca (marzo 2009) rilevava “I 2.321 fascicoli, riguardano processi a citazione diretta, che prevedono pene fino a quattro anni. C’è di tutto, furti, truffe, ricettazione, appropriazioni indebite, lesioni colpose, infortuni sul lavoro. La gran massa di quello che negli uffici giudiziari viene definito «ordinario », anche se le definizione non è lusinghiera per chi li ha dovuti subire, quei reati. In termini di «fatturato», è più di un decimo delle notizie di reato che si accumulano in un anno. Ogni dieci procedimenti, ne è andato perso uno. Adesso, moltiplicare 2.321 per il lavoro degli investigatori, i soldi spesi per perizie e intercettazioni. Tutto evaporato, tutto inutile, perché nessuno ha sentito il bisogno di prendere in mano quei fascicoli pronti per il processo. La scoperta avviene alla fine del 2008, nel mezzo di una ispezione ordinaria disposta dal ministero della Giustizia che si è conclusa soltanto a febbraio. La visita è dovuta all’eterno conflitto tra la magistratura inquirente bolognese e quella giudicante”.

In Procura accreditarono la scoperta del contenuto del misterioso armadio quale frutto di una indagine interna avviata dal procuratore Silverio Piro, allora reggente dell’ufficio e  successore pro tempore di Enrico Di Nicola, andato in pensione nel luglio del 2008. Gli ispettori del ministero hanno sentito il bisogno di un supplemento di indagine, sottolineando come il caso bolognese fosse da ritenersi  «abnorme». Ma avete più  saputo più niente di quei fatti? Ci sono state scuse o risposte? Tanto meno ci sono state spiegazioni,  provvedimenti disciplinari o altro. Si sa solo che tutti quei processi, per avvenuta prescrizione, perché dimenticati, sono andati al macero. Era gente di serie B. Gente inutile che ha speso soldi in avvocati e perizie. Noi abbiamo speso denaro pubblico per l’azione della giustizia, chiamiamola così, giustizia. Forse è un invito alla gente a farsi giustizia da sola o solo un inesplicabile disfunzione della macchina bolognese poco interessata alla gente a molto al riposo. I reati erano forse da non considerare tali ma con una semplice pacca sulla spalla. Come si fa in alcuni casi nella civile Bologna.

Ma poi accadde che un parlamentare locale sollevasse la questione  al Ministro di Grazia e Giustizia sentendosi così’ rispondere : “L’apprensione manifestata dall’interrogante circa la presunta sparizione di fascicoli d’indagine dalla procura di Bologna è infondata – ha precisato il viceministro – in quanto frutto di una fantasiosa ricostruzione giornalistica. Non si è infatti trattato di sparizione, ma di discrasie nella rilevazione numerica dei fascicoli pendenti. In sostanza, per esigenze organizzative della procura bolognese, le annotazioni nei registri dell’avvenuta definizione dei procedimenti di indagine sono state anticipate all’emissione del decreto di citazione in giudizio, quando il fascicolo non era ancora stato trasmesso al tribunale, perché in attesa del completamento delle operazioni di segreteria. Dalla situazione venutasi a creare non discendono dunque profili disciplinari meritevoli di approfondimento. In ogni caso, le autorità giudiziarie competenti, per evitare futuri allarmismi ed errori di rilevazione statistica dei procedimenti pendenti, hanno già provveduto a modificare la prassi in uso”.

La risposta di un anno fa è del Vice Ministro Caliendo oggi sotto inchiesta per gli affari della cosiddetta Loggia P3.

Che ne è delle vittime di quei reati?e dove sta la verità? Si trattò di incuria, di errata comunicazione tra uffici o cosa?

Quasi in contemporanea, scrivono le cronache, il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha deciso per la scarcerazione per gravi patologie sanitarie e per la concessione della detenzione domiciliare a termine per Gerlando Alberti jr., condannato all’ergastolo per l’uccisione di Graziella Campagna.

Graziella Campagna, una giovanissima donna, la quale, impiegata in una lavanderia in provincia di Messina, durante il suo lavoro, un giorno trova un documento nella tasca di una camicia di proprietà di un certo “Ingegner Cannata”. Il documento rivela che il vero nome dell’uomo è Gerlando Alberti junior, nipote latitante del boss Gerlando Alberti senior (assicurato alla giustizia anni prima dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa). Quest’informazione le costerà la vita.

La decisione del tribunale di sorveglianza, definita”rigorosa” in ambienti giudiziari, ha avuto il parere favorevole del procuratore generale. Alberti può lasciare gli arresti domiciliari solo scortato e per motivi di terapia; e può vedere solo la moglie e i figli. Gli arresti domiciliari gli sono stati concessi per un periodo di otto mesi, “in luogo del differimento della pena”, in base – secondo quanto si è appreso – all’art. 147 del Codice Penale, che fa riferimento alla pietas quando per il detenuto sussiste il pericolo di morire in carcere.

La decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna di concedere gli arresti domiciliari a Gerlando Alberti Junior, uno dei due assassini di Graziella Campagna, è stata presa dal tribunale collegiale, formato da quattro giudici, con il parere favorevole del procuratore generale.

E ancora cronaca di alcuni giorni orsono: Michele D’Ambrosio pluripregiudicato in semilibertà e con permesso di lavoro è stato arrestato dalla polizia subito dopo una rapina in gioielleria a Bologna. Michele D’Ambrosio scontava una condanna a 14 anni per l’omicidio di un agente della Polstrada, Stefano Biondi, travolto e ucciso al casello autostradale di Reggio il 20 aprile 2004 durante il tentativo di forzare un posto di blocco, con un complice, a bordo di una Porsche dove avevano due chili di cocaina.

D’Ambrosio usufruiva di un permesso di lavoro dalle 8 alle 21 ma nel weekend non aveva restrizioni. Così si è presentato in una gioielleria di via Riva Reno indossando casco e passamontagna, armato di una beretta 9×21, che però non ha estratto.

Qualche anno orsono invece Antonio Dorio , pregiudicato , uccide il Vice Brigadiere Cristiano Scantamburlo dopo una violenta sparatoria sulla statale Romea.

Il Dr. Luca Ghedini , Magistrato di Sorveglianza di Bologna aveva firmato quel maledetto permesso premio a Dorio che poi , non rientrato in carcere si era dato alla latitanza .

Il Secolo XIX , nelle cronache dell’epoca, riporta le parole addolorate del Magistrato :«Il procedimento è stato formalmente e sostanzialmente corretto – spiega il giudice – ma sul piano umano, nel mio privato, provo grande amarezza e dolore, perché è morto un innocente. Sono amareggiato per la difficoltà  del nostro lavoro, per come a volte va male, per le conseguenze che può avere”.
Ora resta il quesito: come può una giustizia ritenersi tale se amministrata in questo modo? C’è a monte di questi sistemi procedurali una gestione poco lungimirante e troppo burocratica o anche altro? Si può optare per altre strade? Quando? Ma soprattutto è da considerarsi giustizia questa?

2commenti
  1. Cristoforo

    1 novembre 2010 at 08:07

    Volevamo pero’ chiudere con un gran finale .
    Cosa accadde dopo la denuncia della Stampa? Ce lo racconta il Corsera di qualche tempo orsono .
    Leggete :
    “Tutti fuori. La Procura di Bologna ha chiuso gli uffici ai giornalisti. «Da oggi non potete entrare senza autorizzazione del Procuratore», ha detto un usciere ai giornalisti. L’ordine del Procuratore reggente Silverio Piro è stato reso noto proprio nel giorno in cui il Corriere della Sera ha dato notizia dei dati emersi durante l’ispezione ministeriale iniziata a novembre scorso: 2.321 processi sarebbero rimasti bloccati, tutti o in parte in un armadio dell’ufficio udienze della Procura, mentre i reati da giudicare correvano verso la prescrizione.
    Il provvedimento però porterebbe la data di martedì 17, quando sul Corriere di Bologna c’era un articolo su una denuncia per abusi sessuali su una minore dimenticata per due anni e mezzo in Procura. E di recente il Procuratore, che non ha voluto chiarire i motivi della misura, aveva reagito con fastidio anche alle critiche di altri giornali.
    L’Associazione stampa dell’Emilia-Romagna (Aser) e l’Ordine dei giornalisti esprimono in una nota «stupore perchè ai giornalisti che si occupano di cronaca giudiziaria è stato impedito l’accesso negli uffici della Procura di Bologna senza alcuna motivazione». «La decisione, presa dal Procuratore reggente Silverio Piro – prosegue la nota – è grave e preoccupante. Nell’auspicare che si tratti solo di un equivoco e che ogni cosa si chiarisca al più presto, Sindacato e Ordine sottolineano con rammarico come ancora una volta venga ostacolato il diritto dei colleghi a svolgere il proprio lavoro e il diritto dei lettori ad essere correttamente informati.
    Interviene anche il sindacato dei magistrati «Non si tratta di fascicoli dimenticati o persi, nè di una scoperta degli ’007 di Alfano». È quanto spiega la sezione dell’Anm (Associazione nazionale magistrati) dell’Emilia-Romagna. «A novembre – ha spiegato il presidente dell’Anm regionale Rossella Poggioli – è stata fatta una delle periodiche verifiche da parte della Procura stessa sull’ufficio udienze. Questo è avvenuto a ispezione ministeriale in corso. È stato chiesto conto alla responsabile dell’ufficio udienze della situazione: la responsabile ha spiegato di avere 2.321 fascicoli a citazione diretta per i quali il Tribunale aveva già fissato l’udienza ma andava ancora fatta la notifica. Udienze fissate negli anni a venire ma alcune riguardavano già questo marzo e aprile. La responsabile spiegò che non riuscivano a fare le notifiche per una questione di carichi di lavoro, soprattutto per quelle fissate a breve. Così il Procuratore Silverio Piro ha deciso che ciascun Pm si riprendesse la sua quota di fascicoli per poi dare mandato alle proprie segreterie di fare le notifiche. Ed è ciò che sta avvenendo». Poggioli interviene anche sul tema dei giornalisti estromessi. «Non penso che si debbano chiudere le porte in faccia ai giornalisti, ma capisco che sia difficile trovare un equilibrio tra le legittime richieste della stampa e le esigenze di segretezza dei Pm”.

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  2. Cristoforo

    1 novembre 2010 at 12:31

    Tempo addietro un editorialista del Giornale ha tracciato la figura dell’ex Procuratore di Bologna Enrico Di Nicola che è stato per sette anni a capo della Giustizia Bolognese.
    Nel breve ritratto il cronista scrive : “Ha coordinato inchieste importanti, tra cui quelle sull’assassinio di Marco Biagi e sulla morte del piccolo Tommaso Onofri. In città è anche conosciuto per la sua abitudine di archiviare tutti, o quasi, gli esposti che riguardavano l’attività delle giunte rosse, a partire da quella regionale. Ora è in pensione. E l’amministrazione guidata dal governatore democratico Vasco Errani gli ha affidato una consulenza antimafia. Un incarico per «elaborare uno studio di fattibilità finalizzato all’analisi e al monitoraggio della criminalità economica e mafiosa nella Regione Emilia-Romagna».
    È un regalo fatto a un amico, protesta il centrodestra emiliano. «È opportuno che l’ufficio legale della Regione affidi una consulenza all’ex capo della procura pochi mesi dopo il pensionamento?», si domanda Enzo Raisi, deputato Pdl di Bologna. La sua risposta è no: «Nel 2004, con il collega Tommaso Foti, presentai un esposto alla magistratura bolognese sugli incarichi assegnati proprio da quel settore». Infatti l’ufficio legale della Regione conta su 72 dipendenti e 15 avvocati, ciononostante in poco tempo aveva assegnato consulenze per oltre quattro milioni di euro. «L’inchiesta venne condotta e archiviata dall’allora capo della Procura», ricorda Raisi. Cioè il dottor Di Nicola. Lo stesso cui l’ufficio legale ha conferito la consulenza antimafia. «Adesso ripresenterò le carte in Procura», garantisce il parlamentare.
    Il consigliere regionale Alberto Vecchi ha presentato un’interrogazione. Maria Giuseppina Muzzarelli, vicepresidente della Regione nonché assessore all’Europa e alle Pari opportunità, ha confermato che l’incarico a Di Nicola porta la data del 10 novembre 2008, un periodo nel quale il magistrato aveva già maturato il diritto alla pensione ma reggeva la procura felsinea in attesa del nuovo procuratore capo (nominato lo scorso settembre). Il compenso è di 5mila euro per una relazione di 75 pagine già consegnata. «Ma il problema non è l’ammontare dell’onorario, quanto l’opportunità», ribatte Vecchi. Di Nicola, che è tornato a vivere nel natio Abruzzo, difende la propria correttezza: «I miei provvedimenti sono sempre stati limpidissimi, sfido chiunque a mettere in dubbio la mia reputazione», ha detto al Resto del Carlino.
    Anche le convinzioni del magistrato sono limpidissime come i suoi provvedimenti. Ecco che cosa ha detto l’anno scorso a un convegno sulla «nuova etica pubblica» organizzato – guarda caso – dalla Regione Emilia Romagna: «Viviamo in una situazione caratterizzata dal permanente deterioramento del sistema ordinamentale tra pratica disapplicazione delle leggi, illegalità diffusa, tolleranza dell’economia sommersa e del lavoro nero, illiceità/criminalità politico-amministrativa, opacità dei comportamenti pubblici, corruzione e conflitti di interessi pubblici e privati nell’esercizio delle funzioni pubbliche». Una situazione deteriorata «dai continui tentativi di indebolimento degli organi costituzionali di garanzia e dei principi e valori della Costituzione».
    Nel 2006, alla vigilia delle elezioni vinte da Romano Prodi, Di Nicola fu tra i primi firmatari dell’appello per la giustizia lanciato dal pm milanese Armando Spataro che chiedeva al nuovo Parlamento di abrogare le nuove norme sul falso in bilancio e la legittima difesa, oltre alla legge Cirielli e alla legge Pecorella sull’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento. Come pure nei mesi scorsi ha sottoscritto il drammatico appello di Repubblica per la libertà di stampa.
    Adesso che è in pensione, si dedica ai convegni e alle consulenze. Oltre che della Regione Emilia Romagna, il dottor Di Nicola è consulente per la legalità per il Comune pugliese di Francavilla al Mare, incaricato dal sindaco pd Nicolino Di Quinzio. Di recente ha partecipato al seminario di formazione organizzato dai Giovani democratici di Pescara e al convegno su giustizia e Costituzione promosso dal Partito democratico dell’Emilia Romagna assieme a relatori quali Luciano Violante, Augusto Barbera, Anna Finocchiaro e Guido Calvi.
    Anche l’Italia dei valori ha avuto l’onore di accogliere Di Nicola tra i relatori del secondo corso di formazione politica tenuto a Pescara riservato a eletti, militanti e simpatizzanti del partito. In quell’occasione, l’ex procuratore di Bologna chiarì il suo pensiero sulle riforme istituzionali: «La nostra Costituzione non è nata in una settimana da quattro “saggi” rinchiusi in una baita, ma in più di tre anni». Riferimento al lavoro preparatorio della cosiddetta «devolution»”
    Ora Vi e ci domandiamo : Vi soddisfa questa Amministrazione locale della Giustizia ? Cosa ne pensate ? Ritenete corretto quanto accaduto in questi anni ? Trovate delle incongruenze tra fascicoli che si smarriscono e fascicoli che “non si aprono”? Trovate che vi sia stato una corretta visione delle cose ?
    Trovate opportuno che ex apparati della Pubblica Amministrazione , oggetto di indagini (archiviate) chiedano ad un (ex) Procuratore di stilare (con compenso) relazioni ?
    C’è un problema di garanzie e di equidistanze o è solo una impressione sbagliata?

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