IL BALLO DEL CEMENTO ARMATO


Il 14 febbraio si è chiuso il secondo tentativo di vendita delle ex aree militari di Bologna. A dicembre dopo tre anni e mezzo dall’accordo tra Ministero della Difesa, Agenzia del demanio e Comune, sono andate deserte le prime aste per la vendita delle caserme dismesse. Negli ultimi mesi anche il commissario Anna Maria Cancellieri ha promossa l’operazione per le sue potenzialità economiche. “Si rifaranno le aste ad un prezzo più basso”- ha detto. In programma la vendita di ben 19 aree, tra cui i Prati di Caprara, la zona dell’ ex Staveco, strade, terreni e vecchi fabbricati. Un patrimonio ceduto a imprenditori e costruttori, per un affare da 65 milioni di euro. Di questi al Comune spetterà una quota compresa tra il 5 e il 15%, soldi destinati ad alleggerire il debito di Palazzo D’Accursio con le banche. Nessuna strategia a monte, nessuna strategia a valle, sembra la parola d’ordine. Ma anche vendere a prezzi sempre più bassi e favorendo l’inevitabile cementificazione non appare tanto facile.

A dicembre solo la caserma Minghetti, un’area di 4mila metri quadrati venne venduta a Giorgio Giatti, patron della Termal Real Estate e colonna portante del movimento Bologna capitale che candida sindaco Daniele Corticelli. Si aggiudicò con 3,8 milioni di euro, l’area con 300 mila euro in più rispetto al prezzo di base. Escluso questo piccolo lotto il resto fu un perfetto flop. Soprattutto per la ex-caserma Sani di via Stalingrado (11 ettari e 26 immobili per un valore base di quasi 42 milioni di euro) e la caserma Masini (9 ettari in zona Santo Stefano per 13 milioni e mezzo di euro), tornate all’asta in questi giorni. Se la cessione dei due lotti rientra nel progetto per la privatizzazione di vaste zone di proprietà pubblica, rimaste finora chiuse dentro le vecchie caserme sembra mancare un piano strategico per queste aree che resteranno comparti di speculativa edilizia e poco più.

Manca un’idea di riscatto economico della città e l’amministrazione pubblica è sempre più incolore  e debole. Zero iniziativa. Zero idee.

L’aspetto più allarmante è che anche nel pubblico manchi un’idea di rilancio economico che vada la di là del solito sviluppo del mattone. Le poche risorse che si hanno non si investono in tecnologie o economie d’avanguardia ma su questa un’economia vecchia e stantia. I risultati saranno prevedibili. Tanto più considerando i migliaia di appartamenti vuoti presenti in città e provincia.

Un commento
  1. Teresa

    21 febbraio 2011 at 12:43

    Ciao, vorrei lanciare un sasso nello stagno a proposito di politiche sociali e urbanistica. Non conosco come funziona la vendita delle aree militari e quindi il ruolo del Comune, quindi può essere fuori luogo il mio intervento, però vorrei proporre una riflessione comunque generale: perché una o due di tutte queste aree non viene “ridotta” in piccoli lotti da 500-1000-1500 mq da vendere a prezzi calmierati a privati cittadini, aggregati in un bando, per la costruzione di mono-bi-trifamigliari, con vincoli predefiniti tipo prima casa per famiglie con minori o famiglie con almeno 1 anziano proprietario over-70 e magari vincolo alla vendita per almeno i primi 10 anni ed eventuale locazione a terzi solo a canoni convenzionati o analoghi, obbligo di appalto di costruzione ad imprese locali per almeno il 50% dell’intervento edile, con materiali e tecnologie di risparmio energetico, ecc ecc. Chi più ne ha più ne metta, es % di verde privato, servizi sociali per minori e anziani, tecnologie moderne per le infrastrutture e l’energia, mercatini rionali a vantaggio del piccolo commercio.. Insomma, ridurre lo strapotere cementificante della speculazione edilizia di massa e restituzione alla cittadinanza della capacità progettuale di spazi e servizi, compatibilmente a prg e obiettivi pubblici. A cosa servono nuovi palazzoni quando a Bologna già ci sono case sfitte e soprattutto tante seconde case? Perché anziché procedere con la solita gestione degli appalti del cemento, non si procede con una sperimentazione per un vivere più a misura d’uomo? Una sperimentazione urbanistica dove estetica e funzionalità dell’area non la decidono le imprese edili e relative associazioni di categoria, ma una commissione mista tra comune e la comunità che costruisce, anche per un recupero della qualità di vita che i grandi condomìni non sempre agevolano. Sicuramente il vanteggio economico diretto per il comune sarebbe inferiore alla vendita alle imprese edili o ai gruppi finanziari, ma il vantaggio sociale indiretto potrebbe essere altrettanto interessante. Credo che una città come Bologna potrebbe permettersi una sperimentazione di questo tipo e la disponibilità delle aree militari forse potrebbe essere un’occasione da non perdere (es. zona prati di caprara che è inserita in una zona di grandi progetti urbanistici già in fase di costruzione)

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