LA MAFIA PROFONDA IN TERRA EMILIANA


Un altro articolo di Fabio Menenti su Parmanews24 che vi consiglio su quanto è prondoa la penetrazione della criminalitàht in Emilia tp://www.parmanews24.com/focus/terre-verdiane-terre-di-mafia-la-mafia-e-a-parma-le-prove/

Un malato cronico, come afflitto da una sorta di mononucleosi perenne, che destabilizza, priva delle forze, ma non uccide. I medici indagano senza però riuscire a capirne la causa, prescrivono analisi. Ricerche che non servono a curare il malato, ma solo a condurre studi su una malattia dalle origini lontane, che proprio non si capisce come abbia potuto diffondersi. Eppure quella malattia è qui, adesso, tanto temibile che non si vuole nemmeno nominare: MAFIA.

BATTERI – All’origine dell’infezione ci sono precisi agenti patogeni, finiti su Parma e l’Emilia non certo per caso. A diffondere il contagio ci hanno pensato gli stessi parassiti, abbastanza scaltri da saper individuare nuovi terreni fertili: l’Emilia-Romagna, ricca e compiacente ai soldi meridionali che abbattevano ogni difesa immunitaria, la intontivano. Enormi quantità di denaro, capaci di anestetizzare il territorio emiliano senza che nessuno osasse dir nulla, mentre il veleno iniziava a circolare e diffondere il virus. C’è stato poi l’errore dei medici-giudici meridionali: “Il confino obbligato per certi inquisiti per mafia è stato un errore paradossale”. Lo sostiene Antonio Amorosi, ex assessore bolognese e giornalista che ha indagato sul tema. Per lui la volontà mafiosa di espandersi subdolamente sul territorio nazionale e il tentativo di allontanare personalità poco raccomandabili dalle regioni del sud, hanno prodotto un mix favorevole unicamente alla stessa criminalità. I batteri-mafiosi ci hanno messo poco a capire che al Nord sarebbe stato meglio muoversi in silenzio, tacendo il rumore degli spari. Così, senza che in molti se ne accorgessero, la mafia ha creato una rete nascosta, confermata dai pentiti: “Gli Arena, sì, sì, vanno tutti, le cosche di Isola Capo Rizzuto che sono gli Arena, i Manfredi alias ‘porziano’, i Nicoscia, i Capicchiano che li ho mandati io personalmente, regolarmente vanno una volta al mese sopra, stanno quei tre, quattro giorni, hanno appoggi, gli danno case, li portano nei locali, ristoranti di lusso, Le Coccole a Parma, parecchie volte sono andato.” A dichiararlo al pm Dolce è Angelo Salvatore Cortese, il primo pentito di Cutro, il primo a spiegare ai magistrati i legami tra ‘ndrangheta e Parma, come spiegato nel libro ‘Tra la via Emilia e il clan’ firmato dallo stesso Amorosi e da Christian Abbondanza.  Il libro a 4 mani è una vera e propria enciclopedia dei crimini mafiosi del nostro territorio; leggendolo si capisce come l’organizzazione criminale calabrese, Cosa Nostra e la Camorra, sono talmente radicate nella realtà imprenditoriale del nostro territorio da attirare l’attenzione di uomini d’affari parmigiani dagli scrupoli leggeri.  Bazzini, l’immobiliarista parmigiano, primo ‘polentone’ ad essere condannato per associazione camorristica, non ha esitato a stringere legami talmente profondi con la criminalità da diventare suocero di Pasquale Zagaria. Tanzi si è spinto ancora oltre, commissionando all’altro Zagaria, il boss Michele, la distribuzione in esclusiva del latte Parmalat nel casertano, attraverso prezzi ribassati e intimidazioni. Più volte i batteri hanno poi tentato di andare a colpire il cervello, la testa dirigente di Parma: Orazio Infuso, Marco Carfì e Nunzio Alabiso, nel 2007 furono candidati nelle liste dell’Udeur alle elezioni amministrative per il rinnovo del consiglio comunale. Tutti e tre erano uomini di Salvatore Terlati, uomo di fiducia dei Reinzivillo, signori di Gela.

ERUZIONI CUTANEE – Ci sono volte però in cui il virus si manifesta in maniera violenta, come fossero eruzioni cutanee, sintomi evidenti che la malattia è attiva. Sono però fenomeni momentanei, che gli stessi vertici mafiosi non gradiscono perché attirano troppo l’attenzione, disturbano il grosso degli affari. Allora è meglio applicare le violenze lontano dai grandi centri, dove è più facile riprodurre i meccanismi intimidatori dei piccoli paesi del sud. Meglio ancora se oltre ai sistemi, anche le vittime sono meridionali. Salsomaggiore come Castellamare di Stabia, dove 5 esponenti del clan D’Alessandro – tra cui uno latitante da tempo e fratello del boss – sono stati arrestati per estorsione ed usura ad un loro concittadino, ristoratore nel paese delle miss. Praticamente era l’esportazione del sistema del pizzo, un modus operandi che talvolta è stato applicato anche alle grandi aziende: Giovanni Negro, ingegnere della Pizzarotti, venne schiaffeggiato da un camorrista con la conseguenza della perforazione di un timpano in una triste vicenda di appalti. Piccole prove di una malattia capace di causare ben più di un prurito.

TISANE E CHIURGIA– Il 16 gennaio 2012 l’Emilia Romagna ha varato un pacchetto di sessantotto progetti per la prevenzione alle infiltrazioni mafiose e la sicurezza, con la firma di Sindaci e presidenti di Provincia. In quella occasione sono stati stanziati quasi 2 milioni, a cui si sarebbero aggiunti altri 148.088 euro per otto interventi aggiuntivi. Una iniziativa ottima, ma che però potrebbe rivelarsi tardiva, e non di poco. Se la presenza di infiltrazioni criminali, ormai ben radicate sul territorio, è documentata da almeno quindici anni – e chissà da quanto tempo era già iniziata – c’è il rischio che la cura possa essere inefficace. Se il malato è cronico, una tisana non risolverà certo i problemi. L’importante, però, è che da qualche parte si incominci, e allora ben vengano i progetti, la creazione di un’agenzia DIA per l’Emilia Romagna e la legge regionale 3/2011. “Non serve fare ancora gli studi – spiega Amorosi – occorre educare: io sono andato gratis nelle scuole, bisognerebbe partire anche da lì”. Ed effettivamente in Regione sembrano averlo ascoltato, con piani per percorsi scolastici antimafia e visite di ragazzi ai beni confiscati, ma anche formazione sulla legalità per operatori di imprese e enti pubblici, osservatori, interventi per recuperare gli edifici sottratti alla criminalità. Della cura vera e propria però dovrebbe occuparsi la magistratura, la sola capace di operare chirurgicamente sul male. “Purtroppo i magistrati settentrionali non sono esperti sul fenomeno come quelli meridionali – continua Amorosi – spesso si finisce per fermarsi sul singolo caso, sulla sola vicenda criminale, senza fare il passo successivo e iniziare a capire come tanti fatti siano collegati tra loro. Al massimo si collega il singolo crimine alla cosca meridionale X, come fosse un una tantum di un fenomeno che ci tocca di striscio”. Se il virus si è diffuso, servirebbe fare altrettanto col relativo antivirus. Troppo spesso è accaduto che le indagini sulla mafia al Nord siano stati condotte dai tribunali di Napoli e Palermo, lasciando ai giudici nostrani solo il compito di giudicare sui reati di contorno. Se davvero si vuole combattere la criminalità organizzata, bisogna diffondere mezzi, mentalità e conoscenze antimafia anche agli inquirenti emiliani. Perché una malattia non può essere curata soltanto inviando un’ambulanza, occorre costruire un ospedale sul posto.

Un commento
  1. maria cristina

    24 febbraio 2012 at 21:10

    La bontà e l’efficacia della ” cura ” o degli “anticorpi” di tipo giudiziario -istituzionale e culturale- associativo contro i fenomeni mafiosi si misura dai risultati che si ottengono nel contrastare l’illegalità mafiosa e favorire da un lato la libertà di impresa e di mercato e dall’altro la legalità all’interno delle istituzioni della Repubblica .Non pare che i risultati siano stati apprezzabili, fin’ora . Anzi sembra che l’espansione mafiosa e l’antimafia vadano a braccetto e si espandano vicendevolmente: segno che qualcosa non funziona alla radice. Non intendo ovviamente attaccare l’antimafia , ci mancherebbe, ma voglio far capire che non c’è in Italia nessuna seria volontà da parte delle istituzioni di contrastare realmente e con reale efficacia il fenomeno mafioso.
    Se ci fosse davvero la volontà di sconfiggere la mafia , l’obbiettivo sarebbe già stato raggiunto. Che le cose stiano in modo ben diverso non è un segno della forza della mafia s.p.a. ma della debolezza e della corruzione , istituzionale e politica dilagante nel paese in cui viviamo. Che tale situazione sia gestita con astuzia e violenza dai clan mafiosi non implica che siano essi i principali responsabili del dilagare del degrado mafioso. Responsabili veri sono le istituzioni e coloro che gesticono il potere . Credere che la cultura della legalità si insegni nelle scuole senza imporla subito e prima nelle banche e nelle istituzioni ,significa allevare soggetti mentalmente deboli , che domani, credendo alla favola dei buoni( lo stato) e dei cattivi( i mafiosi)saranno prede designate della criminalità politico-finanziaria ,senza possedere neppure gli stumenti cognitivi necessari per capire in tempo e difendersi .

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