Come i cinesi si mangiano l’Emilia Romagna rossa


Ecco il made in Italy a trazione cinese. In mezzo ai bluff di Renzi i «figli del Dragone» sono in continua crescita, ormai 35 mila.

Non fanno notizia e pochi seguono le loro gesta. Negli ultimi anni sono prolificate le aziende abusive che lavorano per l’alta moda italiana: producono un sommerso di centinaia di milioni. Sarebbero la capitale del «Laboratorio» di Renzi, di questa nuova Italia che avanza.

 

Sommersi, nascosti e non salvati. Questi sono i cinesi anche in Emilia Romagna. Una regione che la comunità di 34.800 anime ha diviso per grandi maglie, tra il capoluogo Bologna, la costa adriatica, Reggio Emilia e Modena. Bologna è il centro della logistica e del transito delle merci smistate nel Nord Italia per arrivare nelle boutique di Torino, Milano, Brescia e Verona. La costa adriatica dello smercio al dettaglio dei beni contraffatti e della droga. Modena e Reggio Emilia della produzione di tessile, pelletteria e commercio. Emerge dalla poche inchieste degli inquirenti.

Dei 34.800 cinesi censiti nel 2013 in regione dall’Istat ben 5.143 sono imprenditori, secondo i dati ufficiali di Unioncamere Emilia Romagna.ReggioEmilia, tra tessile e commercio, con l’acquisto di bar e ristoranti, è al primo posto con 1.044 imprenditori cinesi. Modena al secondo con 902. Bologna al terzo con 768 e la più grande Chinatown regionale intorno a via Ferrarese. Rimini al quarto con 257.

C’è l’Emilia Romagna tra le regioni chiave del riciclaggio di denaro sporco della mafia cinese. Emerge dall’operazione «Cian Liu», ossia Fiume di denaro, che segna nel 2010 per gli investigatori il passaggio per la mafia cinese dalla contraffazione al radicamento nell’economia italiana. L’Emilia è vista come terra di riciclaggio.Il Dipartimento Investigativo Antimafia e la GdF hanno dovuto usare mille uomini per sequestrare 73 aziende, 181 immobili e 166 auto di lusso. La mafia cinese riciclava denaro passando dalle porte della Romagna, a San Marino. La GdF ha identificato un cittadino cinese che spostava denaro da una fiduciaria nella Repubblica del Titano con sportelli anche a Forlì e Bologna. Sempre l’Emilia anche nella maxi-evasione al fisco nel 2010 per centinaia di milioni di euro che coinvolge mille imprese cinesi operanti nel settore tessile locale.

«A questi maghi della contraffazione la Guardia di Finanza di Sassuolo ha sequestrato un negozio virtuale che vendeva marchi come Gucci, Fendi e Salvatore Ferragamo» spiega a Libero Antonio Selvatici autore de «Il libro nero della contraffazione».

Ma i primi ad essere vittime del sistema sono gli stessi cinesi. Come nel 2010 quando con machete e pistole una banda di connazionali assalta un laboratorio tessile a Bologna e lega la figlia del titolare, come in un gangster movie anni ’70 alla Bruce Lee. O come col commando di 16enni e 18enni che nel 2003 irrompono in una pizzeria a Reggio Emilia. Assassinano a colpi di machete 2 connazionali. Erano stati testimoni di una rapina.

«Mi chiamo Cay-yan. Di notte lavoro come prostituta a Reggio, di giorno in una fabbrica di Cavezzo gestita da un cinese in cui ci sono anche 10 bambini. Mio padre era proprietario di un bar vicino alla stazione di Modena, nel cui retro si faceva gioco d’azzardo nella bisca gestita da Xia-ngan cui mio padre doveva soldi», raccontano nel libro «Non diamoci pace-Diario di un viaggio illegale» Giulia Di Girolamo e Alessandro Gallo. Mettendo in mostrane i centri emiliani una mafia cinese non meno spietata di Casalesi, ’Ndranghetisti e Cosa nostra.

E tra Cavezzo, San Posidonio, Mirandola, Concordia e Carpi la liquidità (data dalle mafie italiane principalmente) si espande poi a macchia d’olio. Nascono i laboratori tessili illegali che lavorano per i grandi marchi dell’alta moda. «È una guerra. Noi li smontiamo e loro ripartono dopo poche ore» ci dice un appartenente alle forze dell’ordine.

Di qualche giorno fa l’analisi di Marcelle Padovani sul giornale francese Le Nouvel Observateur che indica Carpi (Mo) come il centro della «magia» dello “Sblocca Italia” di Renzi. Sarebbe la perfetta integrazione tra «il pronto moda italiano» e la presenza straniera. Carpi, coi suoi grandi marchi, al centro dell’Emilia, con 70 mila abitanti di cui 929 cinesi che lavorano quasi unicamente nei laboratori tessili. Sarebbe la capitale del «Laboratorio » di Renzi, di questa nuova Italia che avanza. Una «magia» a trazione cinese.

di Antonio Amorosi pubblicato a pag. 15 di Libero Quotidiano nazionale del 21 marzo 2015

(la foto è del sito www.pinomasciari.it)

2commenti
  1. Arnaldo Spallacci

    23 marzo 2015 at 13:50

    Caro Antonui, molto interessante, grazie.
    Due note
    1) se penso alla marea di cinesi che vedo in giro ad esempio nel mio quartiere a Bologna che è da sempre “Chinatown”, i cinesi penso siano migliaia solo qui, direi che le cifre che dà Istat – come per altre migrazioni – sono altamente sottostimate.
    2) Saranno i cinesi come altri legati a mafie, illegalità, devo però dire che sono molto operosi e in generale abbastqanza corretti;
    3) Non solo: per esempio hanno aperto un grosso ristorante (quelli a prezzo fisso), molto bello, e da quando è aperto la zona di fronte si è “normalizzata”; gente che va e viene, movimento, soprattutto c’è luce, è finito il “passeggio” di prima, quello sì molto “dark”, in tutti i sensi.
    4) In conclusione, come provocazione sarei per trasformare il mio quartiere, che ora è un pasticcio multietnico, senza senso nè identità, in una “Chinatown” ufficiale, come a S. Francisco; con tutti i limiti dei cinesi che tu giustamente descrivi, penso che il quartiere sarebbe meglio del grigiore di adesso, ora che è in mano ad italiani inetti.
    Arnaldo Spallacci

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  2. Roberto

    14 aprile 2015 at 03:38

    Non si può paragonare la densità in un quartiere ai dati istat che sono più distribuiti, detto questo sono d’accordo che meglio i cinesi che “altro” tipo di immagrazione…

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