IL NEW YORK TIMES E NOI


La situazione italiana è critica. Economia e finanza internazionale stanno decretando la chiusura delle prospettive di riscatto del Belpaese. Lo ha accennato ieri anche al CERSAIE di Bologna il presidente di CONFINDUSTRIA Emma Marcegaglia quando ha ricordato i risolini che ci circondano andando all’estero e intimato al governo: “o riforme o a casa”. Il primo scossone dovrebbe arrivare proprio dalla classe dirigente centrale: la politica parlamentare. Ma non arriva. Tanto più è difficile aspettarlo dai “nostri”contesti locali che non esprimo reali leadership e vivono dinamiche da strapaese. Ma prendendo spunto da questi due articoli del New York Times, apparsi di recente, si capirebbe con facilità dove intervenire. Uno è dedicato al Comune di Comitini (AG), specchio della condizione del settore pubblico italiano: 64 impiegati per 960 anime con una schiera di vigili urbani e ausiliari in un comune senza traffico. Nel pezzo un passaggio amaramente esilarante dove alcuni di questi seduti al caffè, sotto lo sguardo attonito della cronista americana, motivano il proprio operato come incentivo all’economia così quanto il mancato intervento alle infrazioni. Stesso registro per l’altro articolo dove i 535 parlamentari americani vengono confrontati con i 945 italiani a fronte di una popolazione di 308 milioni per gli Stati Uniti e di 60 milioni per l’Italia. Ma chi dovrebbe attuarle queste riforme se i sistemi clientelari e lo sperpero sono così diffusi e la popolazione è inerte? Al punto che il cronista si immagina, come lavoratore italiano, alla testa di una sottocommissione estera alla Fontana di Trevi?

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