Nell’ENI anche i condannati


Una direttiva di questa estate del Ministero dell’Economia stabilisce l’esclusione dalle stanze dei bottoni, nelle aziende parastatali, per i manager sotto processo o che hanno subito una condanna penale, anche in primo grado. Ma «diamo all’energia un’energia nuova» è lo slogan di ENI…

la principale azienda italiana. Qualche settimana fa la nomina ad amministratore delegato di Claudio Descalzi, voluta da Matteo Renzi. In una lettera a fine marzo, il governo italiano avrebbe sollecitato l’applicazione della norma anti-indagati e condannati almeno per le imprese ritenute strategiche come il colosso dell’energia ENI. Ma il regolamento interno dell’azienda non lo prevede. L’assemblea della società ha approvato il bilancio 2013 ed ha bocciato un possibile cambio di regolamento: la direttiva può essere superata, nel caso di un amministratore in carica indagato o condannato, da un voto motivato dell’assemblea.

Qualche mese fa l’ONG londinese Global Witness (GW) aveva coinvolto proprio Descalzi in una storia di corruzione. Aveva detto: «Il possibile coinvolgimento di Claudio Descalzi, amministratore delegato entrante di Eni, in una negoziazione sospetta in Nigeria solleva seri dubbi sull’opportunità che lo stesso assuma la guida del gigante italiano del petrolio»

Global Witness cita le autorità britanniche, che hanno aperto un’indagine sul caso, e di cui ha dato notizia l’agenzia Reuters nel luglio del 2013, proprio sul caso della concessione OPL (Oil Prospecting License, licenza per l’esplorazione di petrolio) 245 per l’estrazione di petrolio in Nigeria, al largo del delta del Niger.

Cambiamenti? No! Non non c’è stato modo!

Eni, che secondo la rivista Fortune 500, nel 2013 è la 1° azienda italiana e la 17° nel mondo per fatturato, non approva i requisiti di onorabilità. Forse anche questa è energia. Ma di certo non è nuova.

 

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