L’uomo cactus che sta costruendo la sua Arca di Noé


cactus 1L’uomo che sussurra ai cactus: «Ti possono curare o uccidere»

di A. Amorosi a  pag. 1 di Libero Quotidiano del 21 gennaio 2016

C’è un uomo nel mondo che sta costruendo una piccola arca di Noè, ma con le spine. Si chiama Andrea Cattabriga, ha 51 anni, è uno scienziato naturalista. E alle porte di Bologna, a San Lazzaro di Savena, ha raccolto la più grande collezione di cactus del pianeta, circa 35mila esemplari, di cui 10mila di specie in via d’estinzione, che la rendono un caso unico. Ci sono quelle mediche che curano il diabete o tolgono l’appetito, le specie ornamentali di dimensioni ciclopiche o il cui siero può risultare addirittura letale. La raccolta di Cattabriga è stata riconosciuta dalla massima autorità mondiale in materia, la britannica “Botanic gardens conservation”, e anche dall’Unione internazionale per la conservazione della natura, ma è praticamente sconosciuta in Italia – una delle nostre tante ricchezze di cui non sappiamo nulla.

A passeggiare tra le decine di serre di ferro e vetro piene di piante grasse sembra quasi d’inabissarsi in un mondo preistorico, un mondo fatto di aculei. Dove puoi incontrare i “Diavoli striscianti”, gli Stenocereus, cactus multipli e lunghi che crescono radenti il terreno come serpenti. Di fianco, ecco gli Oreocereus peruviani, detti anche “testa di vecchio”, grandi banani alti più di un metro, avvolti da una lanugine bianca.

Epithelantha pachyrhyza (Messico), un piccoloricoperto da minute spine biance per proteggersi da predatori e dal calore del soleMa perché proprio i cactus? «Perché a loro non pensa nessuno» risponde Cattabriga con una smorfia, e si estrae una spina da un pollice. «Quello d’infilzarsi è un inconveniente del mestiere» sorride. E com’è nata la collezione? «Avevo 15 anni, e scoprii che potevo far vivere tante piante in pochi centimetri». Dai primi vasi al vivaio il passo è stato inevitabile: «Da lì sono arrivato alla difesa della biodiversità» racconta accarezzando come tasti di un pianoforte una distesa di Lithops, morbidi cactus sudafricani che si sollevano di pochi centimetri dal suolo e somigliano a una distesa di gomme per cancellare. «Qui ci sono piante che in natura sono estinte», e ci indica alcune Uebelmanie del Brasile, per l’appunto in via d’estinzione, che somigliano a grossi pandori verdi, ma con lunghi punteruoli incorporati. Poi Cattabriga si volta come a cercare un vecchio amico, una specie di ortica all’ennesima potenza con spine ovunque: si chiama Malamujer, arriva direttamente dal Messico, «ed è talmente urticante e velenosa che può creare necrosi della pelle» racconta. «Questa invece è la Hoodia sudafricana»: si volta verso dei cactus alti un metro circa, con aculei aguzzi sporgenti. «Ne mastichi il fusto e ti toglie la fame per giorni, gli indigeni la usavano per andare a caccia». Una casa farmaceutica ne ha anche ricavato una pillola dimagrante.

Cattabriga è un’enciclopedia vivente. E mette le sue conoscenze anche a disposizione della giustizia, facendo consulenze alle Procure sugli allucinogeni ottenuti da piante grasse come i Peyote. Arriva una telefonata di un appassionato: vuole sapere della Festa del cactus (3mila accessi ogni anno) che Cattabriga organizza in autunno dal 2006 a San Lazzaro. «L’aspetto commerciale è venuto dopo per sostenere le spese» spiega. Anche perché il nostro Noè, per salvare le specie in via d’estinzione, ha ricevuto dal Comune un’aiuola in un incrocio stradale, ma servirebbe ben altro per un’avventura di valore universale.Io e la collezione 6

«Tre millimetri di questi costano 30 euro» dice indicando le Aztekium ritteri, proveniente dal Mexico, «in tempi di crisi potrebbe essere uno sbocco economico. Tutto il sud Italia è un territorio naturale perfetto per questa ricchezza, che è anche medica, ma nessun ente ha la sensibilità di aiutare iniziative come la mia», dice rabbuiandosi e indicando una selva di Aloe, depurativa, cicatrizzante, antinfiammatoria, dal fusto lungo verde chiaro. «Quella invece è l’Opuntia, il nostro fico d’india, ma nessuno lo sfrutta. In Sudamerica viene usato per curare il diabete».   Particolare della collezione di piante3

Ci si sente tranquillizzati da tanta bellezza e utilità. Esiste un ricchissimo mercato dei cactus, anche illegale, che si muove su internet e con aste clandestine. Gli esemplari più rari possono costare anche 30-40 mila euro. A Cattabriga, legalmente, gliele chiedono da ogni parte del mondo: Taiwan, Giappone, Corea, Russia, Cina oltre che da Stati Uniti e Nord Europa. «Ci sono templi della cultura che fanno tendenza, come il Getty Museum di Los Angeles, che ha sul tetto un bosco di cactus. E c’è la moda di mettere i Saguari, quelli dei film western, nelle ville hollywoodiane». Noto un arbustino di pochi centimetri, apparentemente innocuo. Cos’è? «È la Synadenium Cupulare» risponde Cattabriga. «Le tribù del Mozambico imbevevano le punte delle frecce nel liquido della pianta, prima dei combattimenti. Chi viene colpito muore paralizzato». Ops! Allora qui è meglio fare un giro largo!

Riparte l’esposizione: ecco l’Ariocarpus trigonus, una piccola pianta frutto di una mutazione, con i petali sottili lunghi e quasi argentei; e più in là i rarissimi Ariocarpus retusus messicani, che crescono tra le rocce, foglie tozze verde scuro, piccole e aguzze, con al centro fiori bianchi e un bocciolo arancione. «Li riproduco in serra. Hanno bisogno di tantissimi anni per diventare grandi. Ma sono come i diamanti delle cactacee: sono in via di estinzione. Non lo permetterò».

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