Devi morire per diventare un santino antimafia. La storia di Franco Caminiti


di Antonio Amorosi a pag 15 su La Verità di oggi 3 gennaio 2017 in edicola

Quando lo Stato fa di tutto per farti fare la fine di Lea Garofalo. E’ la storia dell’imprenditore calabrese Franco Caminiti che ha fatto arrestare gli ‘ndranghetisti. L’ultimo attentato una settimana fa. Bisogna aspettare che lo ammazzino. Lo Stato gli ha tolto la scorta e fa finta di niente.

(……In attesa di leggerlo on line cercalo in edicola -) aggiornamento 4 gennaio 2017 

In Italia devi morire, altrimenti lo Stato come fa a celebrarti come un santino antimafia!?
E’ la storia di Franco Gaetano Caminiti, commerciante di Reggio Calabria vittima del racket della ‘ndrangheta. Giovedì scorso, alle 20.30, un commando l’ha aspettato sotto casa, posizionato nell’atrio del condominio. Mentre faceva manovra per parcheggiare la sua auto gli ha sparato una raffica di colpi di pistola. Caminiti ha accelerato salendo con le ruote su un marciapiede e si è scaraventato fuori dalla vettura accovacciandosi per terra, facendosi scudo con la carrozzeria. Un po’ i riflessi, un po’ la fortuna, è riuscito a salvarsi un’altra volta dai clan. I raid contro di lui infatti non sono un caso isolato a Reggio, nella città del neoministro dell’Interno Marco Minniti (Pd).

RECORD DI DENUNCE
Caminiti ha fatto ben 62 denunce contro la ‘ndrangheta che hanno portato alle condanne, nei processi «Gambling» e «Azzardo», di esponenti dei clan Alvaro, la cosca più grande e pericolosa del reggino, Tegano, De Stefano e Latella. Grazie alla sua collaborazione nell’operazione «Casco» sono stati arrestati anche due nipoti della moglie, i fratelli Zindato.
Il commerciante, che ha due attività a Reggio Calabria, un centro postale e un punto Enel, ha ricevuto negli anni buste con proiettili, varie cartucce di armi fatte arrivare fin nell’ascensore di casa e, nel 2014, una testa di capretto scuoiata, sullo sterzo del suo scooter parcheggiato nell’androne con la scritta «fai la stessa fine». Nel 2008, sempre a fine anno, gli hanno incendiato l’attività e dopo due giorni, il 3 gennaio 2009, appiccano un incendio che quasi costa la vita al figlio, svenuto tra le fiamme. Nel febbraio 2011 un commando in moto gli scarica addosso un intero caricatore di pistola ma lo ferisce solo al braccio destro. Nel 2012 viene trovato un candelotto inesploso nell’auto del figlio. Nel settembre 2013 il postino consegna un pacco alla sua attività con 200 grammi di esplosivo, microchip e batteria pronti all’uso. Apre la busta con il taglierino e trancia i cavi. Capisce che qualcosa non va e chiama le forze dell’ordine. «Il capo squadra degli artificieri dopo avere disinnescata la bomba mi ha detto di andare dalla madonna ed accenderle due ceri, perché ero rinato per la seconda volta», ripete Caminiti alla Verità.
Ma per il ministero dell’Interno, ad agosto, con Angelino Alfano in carica, non c’è pericolo e per «mancanza di elementi concreti e attuali in ordine all’esposizione al rischio» gli toglie la scorta. Caminiti infatti aveva già ricevuto una scorta nel 2011 che gli era stata revocata nel 2013. Aveva presentato opposizione al Tar e il tribunale aveva trovato senza senso la posizione del ministero, ripristinandogliela. Ma è durata fino all’agosto scorso, quando gli è stata di nuovo tolta. La Verità ha ricontattato il ministero ieri mattina, ma gli uffici del ministro Minniti non hanno proferito risposta. Forse perché siamo ai primi di gennaio e «la mafia uccide solo d’estate» come dice il famoso film di Pif.
Quella di Caminiti somiglia tanto alla storia di Lea Garofalo, calabrese con una bimba piccola e testimone di giustizia ribelle alla ‘ndrangheta. Lo Stato prima le toglie la protezione, i suoi carnefici la uccidono e a cose fatte, sempre lo Stato, con la Rai la celebra in una fiction. C’è un altro elemento che desta attenzione nella vicenda del commerciante calabrese.
La sua storia sembra volgere per il peggio quando nel 2013 restituisce la tessera di Libera, non condividendo le politiche dei rappresentanti locali. Un esponente dell’associazione lo ha anche segnalato nel 2011 alle forze dell’ordine per la parentela con i famosi nipoti. Fatti già ben noti agli inquirenti visto che Caminiti ha «partecipato» all’arresto. Ma gli viene addirittura aperta contro un’indagine per associazione mafiosa.

DISILLUSIONE
Caminiti è sconvolto. «Per me è inspiegabile» ripete alla Verità «lo sanno che ho fatto arrestare i miei nipoti. E lo stesso Pm che mi sente come testimone per arrestare gli ‘ndranghestiti è lo stesso che mi sente come teste e mi indaga».
Poche settimane prima dell’ultimo attentato di questo capodanno, il 6 dicembre, Caminiti riceve una lettera con minacce di morte e chiede il ripristino della scorta. Ma niente da fare. Nel frattempo, il 15 dicembre, arriva proprio una delle sentenze del processo «Gambling», in cui è testimone, che smantella una holding internazionale di scommesse e di giochi sportivi on line. Subito dopo qualcuno deposita cartucce nella sua cassetta postale. E giovedì scorso segue l’ennesimo attentato alla sua vita. Caminiti: «Il procuratore di Reggio dice che qui sono tutti omertosi. Per me continueranno ad esserlo: in queste condizioni chi va a denunciare?». Di recente ha scritto a prefettura, carabinieri e Procura dicendo che se gli dovesse succedere qualcosa erano tutti a conoscenza della sua situazione.

continua…

di Antonio Amorosi  del 5 gennaio a pag 4 de La Verità

«Siamo pronti alla mobilitazione sia in Calabria che davanti al Ministero dell’Interno, chiamando anche i poliziotti, per far si che Minniti intervenga e ripristini la scorta a Caminiti» ha dichiarato il membro dell’Ufficio di Presidenza nazionale di Forza Italia Simone Furlan. Stesso tono per il segretario generale del sindacato della polizia di Stato Libertà e Sicurezza (LES) Giovanni Iacoi che è intervenuto chiedendo a Minniti di prendere a cuore immediatamente la posizione del testimone calabrese e di mettere «ordine nel disordine della concessione delle scorte personali».

Ha destato molto scalpore la storia, raccontata martedì scorso dalla Verità, del testimone di giustizia di Reggio Calabria Franco Caminiti vittima di un raid di un commando armato. Reggio Calabria è proprio la città natale dell’attuale ministro dell’interno Marco Minniti. L’imprenditore, bersaglio del racket, ha collaborato a vari processi contro esponenti della ‘ndrangheta, ha fatto arrestare i temibili affiliati dei clan Alvaro, Tegano, De Stefano e Latella. Ma è finito senza scorta e diventato facile obiettivo giovedì 29 dicembre, quando un commando gli ha sparato sotto casa una raffica di colpi di pistola. Caminiti si è salvato per un pelo. Negli anni quello di Caminiti è stato un tira e molla con il ministero che prima gli concede la scorta e poi gliela toglie, definitivamente ad agosto del 2016 per «mancanza di elementi concreti e attuali in ordine all’esposizione al rischio». «E’ inspiegabile questo accanimento anche dello Stato contro di me» racconta «ho fatto 62 denunce contro la ‘ndrangheta».

Quello di giovedì è stato l’ennesimo attentato di una serie infinita, dove gli apici arrivano nel 2011, quando un gruppo di malavitosi gli scarica addosso un intero caricatore di pistola, o nel 2013, quando il postino gli consegna un pacco con 200 grammi di esplosivo. «Per me è inspiegabile» ripete «lo sanno che ho fatto arrestare i miei nipoti». Infatti grazie ad una sua testimonianze l’uomo ha partecipato a fare arrestare anche due nipoti acquisiti e componenti di un altro clan. Ma sarebbe quella la macchia che una volta entrato in attrito con esponenti locali dell’associazione Libera avrebbe, a loro dire, incrinato la sua posizione e segnalata da un componente di Libera per la parentela. Da fonti non ufficiali della Questura è trapelato che in seguito al raid del 29 Caminiti sarebbe anche indagato per un ipotesi di simulazione di reato. Si sarebbe sparato da solo. Caminiti: «Sono disperato. Mi trovo in una situazione surreale». Anche Oscar Giannino ha dedicato un’intera puntata de La versione di Oscar su Radio 24 all’assurda vicenda.

 

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