Domani, 4 dicembre, arriverà in Commissione parlamentare d’inchiesta Ecomafie il caso del colosso Hera e delle migliaia di tonnellate di rifiuti tossici sepolti al centro di Bologna, denunciato da Libero il primo luglio.
La Commissione ha gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria. A indirla è stato proprio il suo presidente, Alessandro Bratti, del Pd, che solo dopo la puntata di Report del 16 novembreha deciso di «sentire i vertici della società (Tomaso Tommasi), i rappresentanti dell’Arpa locale e il sindaco di Bologna, per verificare a che punto è lo stato di bonifica del sito e l’effettiva esistenza di livelli di pericolosità, all’interno del sito, per i lavoratori e per i cittadini». E la cosa non è di poco conto visto che ad oggi sono già aperti diversi procedimenti penali e civili sulla vicenda.
Il problema è il «conflitto d’interessi» di Bratti, che emerge dalla dichiarazione patrimoniale depositata dal parlamentare Pd alla Camera dei Deputati e dai rapporti interni di Hera. La moglie del parlamentare, Rita Rubinucci, classe 1960, di Ferrara, è un alto dirigente di Hera, coordinatrice della gestione clienti di Hera Comm di tutto il nord-ovest. Bratti è stato assessore all’Ambiente (in quota Ds e Pd) di Ferrara, per 10 anni, e si è distinto per la continua sintonia con Hera. È stato anche direttore generale di ARPA Emilia-Romagna,di cui ha convocato il dirigente domani.
La vicenda poi sembra ancora di più confondersi dopo la puntata di Report del16novembre. Nel servizio sono almeno due le «sviste». Le intercettazioni della Guardia di Finanza, che nel 2008 registrano i funzionari di Hera, vengono completamente omesse e diventano una semplice «informativa».
Eppure, stando all’inchiesta, i funzionari di Hera avrebbero cercato di miscelare, mandare in discarica e in un inceneritore le tonnellate di rifiuti tossici ritrovate sotto la sede per provare, fino all’ultimo, a nascondere il ritrovamento. Una cosa non da poco visto che il comportamento suddetto ha prodotto una notizia di reato. Per un errore procedurale poi, il giudice Mirko Margiocco, si è trovato costretto a non poter rinviare a giudizio i tecnici della Multiutility.
La seconda «svista» è altrettanto evidente quando l’imprenditore Corrado Salustro spiega ad Emanuele Bellano di Report perché l’affare non si è mai chiuso. Salustro: «Perché l’area è risultata fortemente inquinata e nessuno ha interesse o voglia di andare a disinquinarla per cominciare a costruire, perché i costi sarebbero secondo me altissimi». In realtà il motivo per cui è saltato il contratto di vendita è tutt’ora oggetto di diatriba legale per stabilire chi doveva fornire per primo una fideiussione bancaria a garanzia dell’opera. Che il terreno non era «vergine» era cosa già menzionata nell’atto di vendita. Di certo non era descritta la mole di rifiuti tossici ed è una cosa di cui probabilmente Salustro capisce la gravità solo dopo che l’affare è sfumato, grazie alle intercettazioni della Gdf.
Tommasi è assistito dall’avvocato cassazionista di Bologna Guido Magnisi che ha già difeso i funzionari di Hera per le intercettazioni telefoniche del 2008. È lui una delle poche frequentazioni bolognesi della Gabanelli, come spiega Vanity Fair in un’intervista al marito.
La Cgil e i responsabili per la sicurezza dei lavoratori non sono mai stati informati dell’esposizione ai rifiuti tossici e non sentendosi garantiti hanno deciso di fare causa a Hera. Il 12 dicembre sciopereranno contro il Jobs Act e contro la Multiutility con un presidio sotto la sede.
di Antonio Amorosi su LIBERO Quotidiano nazionale del 3 Dicembre 2014
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