I TABU’ ISLAMICI


Temi che non conosciamo e con cui dovremmo iniziare ad entrare in contatto.
Questa settimana vi proponiamo un doppio articolo del giornalista de Il Resto del Carlino Lorenzo Bianchi che ci racconta del corpo, il sesso e le implicazioni nell’universo musulmano.
Nei prossimi anni cresceranno le migrazioni. L’Europa e L’Italia avranno sempre
più a che fare con questi fenomeni complessi.
Noi cosa faremo?

Mani sapientemente incrociate in zona strategica sul nudo femminile di copertina del secondo numero, quello di marzo. Dalla lettera iniziale in caratteri arabi di “Jasad”, il “Corpo”, pende una manetta chiusa.

Il trimestrale più libero e spigliato del mondo arabo è opera di Joumana Haddad, 38 anni, libanese, poetessa e giornalista di matrice familiare cattolica. Il sito della rivista cita Novalis: “L’unico vero tempio su questa terra è il corpo umano”. Chi aveva visto nella manetta un simbolo sado-maso è costretto subito a ricredersi. Il primo numero è uscito in dicembre. E’ stato un lampo nell’oscurità. Temi off limits come il sesso orale, l’omosessualità e il feticismo venivano affrontati da scrittori arabi, in larga maggioranza musulmani. Il secondo numero ha alzato il tiro. Rasha Al Amir racconta la “sua prima volta”. Il siriano Iman Ibrahim firma una poesia intitolata “Toccami come una pietra generosa”. Temendo rappresaglie fondamentaliste la rivista è stata avvolta in una copertina bianca e rivestita di cellophane. Nonostante l’accorgimento molti librai ed edicolanti, per tenersi dalla parte dei bottoni, l’hanno rifiutata. Gli Hezbollah avevano già tentato l’aggressione fisica dello stand che esponeva il primo numero alla Fiera di Beirut, ma erano stati respinti. Ora replicano con una condanna verbale: “Sono strumenti dell’Occidente per distogliere la gente da altri temi”. Il sito di “Jasad” ha subito più di quindici attacchi di hacker. Un internauta fondamentalista ha fatto apparire la scritta “Non c’è Dio, c’è solo un Dio”.

Il tabù è granitico anche in Egitto. Heba Kotb è una sessuologa egiziana che si è formata all’Università della Florida. Ogni settimana conduce sulla Tv satellitare “Al Mehwar” una trasmissione intitolata “Big Talk”. Parla senza peli sulla lingua di “posizioni”, “orgasmi femminili” e di “impotenza”. Dopo ogni puntata piovono sul suo indirizzo circa 70 mila e mail. La Kotb non è una pasionaria del femminismo, ma una prudente tradizionalista. Indossa il velo, lo hijab. Sostiene che il sesso può essere praticato solo dopo il matrimonio e che l’essere gay è “una malattia”. Ma è profondamente convinta del fatto che “nell’Islam le donne come gli uomini hanno il diritto di provare piacere attraverso i rapporti sessuali”. Questa sua filosofia l’ha spinta a teorizzare che durante il mese santo del Ramadan non ci si debba mortificare con l’astinenza dai rapporti. I radicali l’hanno collocata subito al centro del loro mirino. Lo sceicco Youssef Al-Badri ha messo all’indice la sua apparizione televisiva: “Invade la privacy delle nostre stanze da letto e accresce il numero dei pervertiti sessuali”.

Perfino la laica Turchia sembra aver reagito con fastidio al romanzo “La Casa che brucia” di Selin Tamtekin, 33 anni, gallerista a Mayfair, figlia di un diplomatico turco che da 14 anni presta servizio in Inghilterra. Il libro è un peana dell’amore libero fra una giovane turca dell’alta borghesia e diversi partner più o meno occasionali, dal padrone di casa a un marinaio. Nella penisola anatolica è firmato con un “nome di penna”, Deniz Goran. Ma appena si è saputo chi si celava dietro lo pseudonimo Selin ha dovuto cominciare a nascondersi. Per il “Times” è diventata “un Theo Van Gogh” in gonnella. In Pakistan i severi fautori dell’Islam tradizionale hanno scritto loro sul libro nero i nomi di Kyla Pasha, 29 anni, e di Sarah Suhail, 26. Il loro “peccato” è il lancio sul web del magazine “Chay”. Uno dei primi post ha fatto aggricciare la pelle ai pii conservatori. Si intitola: “Un grido nel deserto: l’omosessualità maschile”.

Il titolo è inequivocabile. La rivista trimestrale si chiama “Il corpo”. Joumana Haddad, può spiegarci le ragioni della scelta? Lei, se non sbagliamo, è cresciuta in una famiglia cattolica molto tradizionalista.

“Prima di tutto non esisteva nessuna pubblicazione del genere. L’arabo è oggi una lingua che non ha più parole per la fisicità. La annega in un mare di metafore. Una mia amica mi ha detto: preferisco leggerti in inglese. Se lo faccio in arabo ho paura del peso delle parole”.

Per esempio?

“Per l’organo femminile del piacere ci sono più di 100 vocaboli, tutti letterari, tutti di grande bellezza. Siamo abituati a usare le parole autentiche solo nella nostra testa o a voce bassa”.

“Jasad” colma un vuoto impressionante. Il primo numero ha venduto tremila copie a dieci dollari l’una. Centinaia di persone hanno chiesto di abbonarsi, sia nel Maghreb, sia in Medio Oriente.

“Il corpo semplicemente non esiste, mentre è sempre stato nella mia scrittura (ndr. di recente è uscita la raccolta di poesie intitolata “Adrenalina”, Edizioni del Leone) un tema di particolare interesse. Trovo ingiusto che la lingua e la cultura araba si siano private, nella nostra storia recente, di una parte importantissima del loro potenziale e del loro vocabolario”.

Non è sempre stato così. Vuol dire questo con l’aggettivo “recente”?

“Esattamente. Penso alle opere che si sono susseguite fino al decimo e all’undicesimo secolo. Si possono leggere scritti molto liberi. Ma possiamo arrivare anche al tredicesimo. Da allora il “Giardino profumato” di Nafzawi, che è appunto di quell’ epoca, e i testi censurati de “Le mille e una notte” non vengono più letti”.

Per quale motivo?

“Parlavano del corpo con una libertà e con una spontaneità che ora non esistono più. Ora è consegnato ai tabù. Questo trattamento della nostra lingua e della nostra cultura è prima di tutto ingiusto”.

Di chi è la colpa?

“Il potere delle religioni sulla nostra vita è gradualmente aumentato”.

Lorenzo Bianchi da Il Resto del Carlino

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