Nessuno vuole risanare i teatri per poterci «mangiare»


Su Libero in edicola il 30 luglio 2014 – aggiornamento in chiaro ore 14.20 1 agosto

Come diceva l’ex sovrintendente della Scala di Milano Stephane Lissner (1 milione di euro l’anno di stipendio per 10 anni di contratto di cui 7 anni incassati) «nella gestione della cultura non dovrebbero entrare né privati, né tantomeno burocrati».

Belle parole da fissare nella memoria per le 14 Fondazioni/Teatri lirici italiani come i 360 milioni di euro di debiti, il miliardo e 230 milioni di Fondi Fus dello Stato incassati più altri 180 milioni extra e vagonate di milioni da Regioni e Comuni per una crescita dei dipendenti, 2010-2013, dai 5560 ai 5695.  Leggi l’inchiesta di ieri

Così nel 2013 con il governo Letta arriva la solita legge che vuole salvarle. E’ la Legge Bray o Decreto Valore Cultura, che come ogni provvedimento italiano contiene tutto e il contrario. Sembra incontrare le intenzioni del sovraintendente Lissner, perché scoraggia l’ingresso dei privati, riduce l’autonomia delle fondazioni e le riporta sotto l’occhio del Ministero dei beni culturali, l’attuale ministro Pd Dario Franceschini, ma introduce anche un controllo nell’erogazione dei fondi.

Tutte le fondazioni commissariate, che hanno anche un passivo annuale nei bilanci già al collasso, che si impegnano a rivedere il numero dei dipendenti e a chiudere i bilanci in pareggio, devono aderire, pena la liquidazione coatta, ad un fondo controllato dal commissario straordinario Pier Francesco Pinelli che lavora con il Ministro. Il fondo eroga altri 25 milioni per il 2013 e 75 per il 2014 e vi sottostanno obbligatoriamente i teatri di Bari, Bologna, Genova, Firenze, Napoli, Opera Roma, Palermo e Trieste.

Ma nella legge è passato a sorpresa un emendamento sostenuto dalle opposizioni (M5S e Forza Italia): l’obbligo per le Fondazioni di verificare se sui propri conti siano stati applicati, dalle banche tesoriere, interessi sugli interessi (la pratica dell’anatocismo così diffusa nel settore) e altre gestioni improprie su cui quindi pretendere risarcimenti milionari, come previsto dalla sentenza 2593 del 2003 della Corte di Cassazione. Anche perché il grosso dei 360 milioni di debiti le fondazioni le hanno proprio con le banche tesoriere con cui hanno rapporti decennali.

«Ad una prima stima ed a discorsi informali che ho avuto inizialmente con i sovrintendenti la pratica sembrava molto diffusa», ammette il segretario del sindacato Fials Enrico Sciarra che racconta: «Sono spuntati a Firenze, Trieste, Cagliari, Genova. Poi pluff improvvisamente è calato il sipario, silenzio». Sciarra si azzittisce per qualche secondo poi rivela: «Sembra che i sindaci (sono ai vertici delle fondazioni in ogni città e nominano i sovrintendenti, ndr) non vogliano mettersi in contrasto con le banche e le verifiche non si fanno più anche se sono obbligatorie. Noi pretendiamo invece che siano rigorose, altroché!».

A bassa voce qualche sovrintendente ammette ufficiosamente che tutto sta «finendo all’italiana». Che non sono casuale i 14 milioni di euro regalati dalla regione Friuli, del governatore Pd Serracchiani, al Teatro Verdi di Trieste, così come lo stralcio di 5 milioni di euro della Banca Carige al Maggio Fiorentino.

I sovrintendenti che ci rispondono al telefono, Francesco Ernani (Bologna), Rosanna Purchia (Napoli), Massimo Biscardi (Bari), Fabio Giambrone (Palermo) sostengono che sono in corso accertamenti «ma sappiamo già che da noi non c’è niente», ripetono quasi all’unanimità. Come fanno a saperlo è difficile comprenderlo. Ed a chi sia stata affidata la verifica ancora più oscuro, perché ad esclusione del Teatro Massimo di Palermo che cita l’affidamento allo Studio contabile BCC del capoluogo siciliano, nessuno vuole rivelare i nomi.

Musica differente a Genova con la Fondazione Carlo Felice del sovrintendete Giovanni Pacor che ha aperto con Banca Carige, titolare del servizio di tesoreria dal 1995, una contestazione per una decina di milioni di euro (per evitare le vie legali chiedono 6,5 milioni a titolo risarcitorio) perché secondo una perizia in loro possesso ci sarebbero stati comportamenti anomali sugli interessi impartiti dalla banca. La fondazione ha un rosso di 4,5 milioni e il Cda, già scaduto, è stato prorogato proprio per chiudere il bilancio 2013. Ma se non ce la facesse si riparte da capo. Nuovo Cda e nuovi discorsi. Col rischio di finire anche in questo caso all’italiana.

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