La giungla dell’antimafia. Le vittime tra squali e approfittatori


 

«Tutto questo mondo che gravita intorno all’antimafia mi disgusta. Appena si rivela come funziona si resta fuori dai giri mediatici che contano. E la gente ama troppo le lusinghe».

Queste le parole di Tiziana, figlia del capitano Paolo Ficalora, ucciso dai Corleonesi di Totò Riina nel 1992. La sua storia è raccontata in un bel libro, Vittime di mafia, di Josef Morici e Fabio Fabiani, incentrato su 9 casi di siciliani innocenti uccisi ma cancellati dai riflettori. Con i familiari che hanno sacrificato anni alla ricerca dei motivi delle uccisioni. Come Giuseppe, motore di tutto il gruppo e figlio di Michele Ciminnisi, trovatosi per caso nel 1981 in un bar assaltato coi mitra dai Corleonesi per uccidere un rivale. Il 9 febbraio uno degli autori ne organizza la presentazione. Invitati i familiari. Ciminnisi e gli altri fanno sapere che saranno felici di partecipare ma non vogliono sigle di partito ed associazioni a strumentalizzare. E così sembra andare. Finché si ritrova la presentazione del libro anticipata di due giorni, il 7 febbraio, curata dall’associazione Libera di Raffadali. Ai familiari neanche un invito.

«Zero» spiega Ciminnisi che racconta la «giungla delle vittime» un mondo abitato da politicanti e approfittatori, di avvocati che ti spellano vivo e vittime di serie A e B che devono pagarsi legali, periti e medici per decenni. «Per un risarcimento da 100 mila euro un avvocato è stato pagato 80 mila euro» racconta.

«Nessuno ci ha invitati» replicano Gerlando Virone, figlio di Mariano ucciso in un agguato e Nico Miraglia figlio del sindacalista ucciso Accursio Miraglia.

Chiamo Tiziana Ficalora. Il motivo dell’uccisione del padre Paolo si scoprirà molti anni dopo. Nel suo residence era stato ospitato il superpentito Totuccio Contorno e Ficalora venne trucidato davanti alla moglie che per tutta la vita si è battuta per avere giustizia. «Nessuno ci ha invitati. Qua le cose funzionano così. E non è la prima volta». Ma l’iniziativa non doveva servire a ricordare le vittime e le battaglie delle famiglie? «Se lo ricorda cosa diceva Sciascia!? (Il riferimento è all’articolo “I professionisti dell’antimafia”, ndr). Le associazioni antimafia sono delle macchine belliche. Io in queste cose sono sempre stata accanto a Giuseppe Ciminnisi che ci mette il cuore, senza secondi fini. Ci sono familiari di serie A, B, C e gli invisibili». In che senso? «Quando succede è come essere investiti da un treno in corsa. Non sai darti spiegazione. Poi finisci in una macchina giudiziaria infernale. Un povero familiare è nelle mani di marpioni a tutti i livelli. Paghi un avvocato per 20 anni. Noi ci siamo venduti la casa e chiuso un’attività ed eravamo benestanti. Abbiamo vinto e lo Stato ci ha risarcito ma arrivare in fondo è un miracolo. E non tutti hanno gli strumenti culturali. Ricordo famiglie che non sapevano neanche di poter chiedere il risarcimento civile. Hanno perso un figlio carabiniere. Si sono chiusi nel silenzio col morto e non hanno fatto più niente. Annichiliti dal dolore». E le associazioni? «Dovrebbe immediatamente partire una macchina parallela alle indagini giudiziarie dove ti si aiuta, ti si accoglie, per farti sentire parte di qualcosa. E’ questa la solidarietà, non altro. Ma non c’è niente. Di sicuro c’è una miriade di approfittatori da cui guardarsi».

Ma come funziona questo mondo?

«Ci sono i familiari famosi che si sono sistemati con un “alloggio” politico. Poi ci sono gli utili idioti, tra cui mi metto anche io, che fanno numero».

Mi faccia un esempio.

«L’unica iniziativa di Libera alla quale ho partecipato. I familiari erano invitati da Papa Bergoglio a Roma. Iniziativa bellissima. Ma anche lì, tutto studiato. Niente lasciato al caso. C’erano i familiari famosi in prima fila e a seconda dell’aggancio stavi in un posto»

E Libera?

«E’ una macchina troppo grande, ha varie anime. Troppe».

E nel particolare?

«Ho avuto un’esperienza bruttissima anni fa. Si commemorava la morte di mio padre e Libera, di cui allora facevo parte, invita a parlare Rita Borsellino, persona degnissima, ma noi neanche invitati, non esistevamo. Ho dato le dimissioni»

E a chi dei familiari fa politica cosa dice?

«Facciano loro. Risponderanno alle loro coscienze. Ho avuto tante offerte ma non ci penso nemmeno. Tradirei i principi di mio padre. Dallo schifo che ho visto in questi anni io vieterei la possibilità di fare politica a chi è un familiare di una vittima di mafia. Non si può fare. Non si deve fare. Fai una attività di sensibilizzazione ma in modo gratuito perché lo Stato ti ha già risarcito. Poi possiamo discutere su quanto e se c’è un risarcimento per queste cose. Ma è una tristezza infinita usare una tragedia così»

di Antonio Amorosi pubblicato a pag. 1 e 11  di Libero Quotidiano nazionale del 7 febbraio 2015

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