Incontriamo Giovanni Consorte, ex presidente e Ad di Unipol, realtà di riferimento della finanza rossa, dimessosi nel 2006 dopo il caso della scalata a Banca Antonveneta e di Unipol a Bnl celebre per la famosa intercettazione con l’allora segretario Ds Piero Fassino.
Le coop al centro di Mafia Capitale, l’ex Nar Carminati che parla come un cooperatore, ma che succede?
«Non c’è più una strategia cooperativa ed è venuta meno una logica di sistema».
«Le Coop avevano valori condivisi. Poi c’è stata un’involuzione. Sono prevalsi egoismi aziendali, problemi legati alle dimensioni, molte Coop sono troppo grandi rispetto alle loro capacità reali e non c’è più una regìa».
Ma a Roma è prevalso un altro sistema.
«Eventi che esplodono dove ci sono grandi risorse pubbliche, l’Expo, il Mose, Roma e non c’è una cultura della cooperazione come in Emilia-Romagna, Toscana, in cui c’è un controllo sociale… ma adesso tutto è cambiato».
Perché, in Emilia non sarebbe successo?
«Sì, con quelle risorse sarebbe potuto succedere anche qui. Comunque i controlli sono insufficienti».
Conosce le persone di Mafia capitale?
«Mai visti. Li sto conoscendo dai giornali».
Dalle Coop ha reagito solo il presidente di Coop Adriatica Adriano Turrini. Dice che bisogna fare pulizia, e ci vuole tolleranza zero…
«Mah…! (ride e mi guarda continuando a ridere).
Come si fa a scoprire solo adesso che Buzzi, a capo di una Coop di detenuti, guadagnava 25 mila euro al mese, ha finanziato Marino e anche Renzi che neanche mostra la lista dei suoi sostenitori?
«Mancano i controlli. Temo che ci saranno problemi in futuro. Ci sono settori che non hanno condizioni per prestarsi a questi livelli di corruttela. È cambiato il contesto politico dopo il 2003. Si annacqua l’ideologizzazione e il Pd non è i Ds».
Siedono con Turrini nel cda di Unipol l’ad Carlo Cimbri, Claudio Levorato di Manutencoop e altri tre, tutti indagati. Perché non usa la tolleranza zero lì?
«La posizione di Turrini è legata ad un sistema di potere dei vertici delle Coop, autoreferenziale. Mancano proprio le linee guida da seguire per gestire una fase del genere. La cooperazione va rilanciata, realizzando una vera democrazia nella gestione interna. Le Coop non si possono chiudere nella propria impresa, in una logica autarchica. E di fatto Legacoop non esprime un potere reale nei confronti delle aziende».
Spieghi meglio.
«Una Coop non va in crisi da un momento all’altro. I controlli servono a verificare queste situazioni per tempo e magari a non essere dentro Mafia capitale. Ci vuole la professionalità nei Cda per premiare i risultati e non la fedeltà».
Turrini dice che bisogna andare via dopo tre mandati dai vertici Coop. Parla come un politico. Le Coop sono aziende o partiti?
«I gruppi dirigenti Coop devono essere altamente qualificati e competenti ed essere valutati sui risultati. I gruppi vincenti non si cambiano».
Perché, non è così?
«No. Molte Coop sono in crisi per questo. Bisognerebbe adeguare il sistema finanziario promozionale e farne nascere nuove in settori strategici. La cooperazione va rilanciata ma queste sono azioni complesse. E poi ci vorrebbero controlli».
Quindi è vero che non ci sono?
«Basta chiedere al ministero del Lavoro (il ministro Poletti è stato a capo di Legacoop, ndr) quante revisioni hanno fatto e quanto sono costate. Sono demandate a Legacoop? Quante sono state quelle delle grandi Cooperative?».
Sta dicendo che non vengono fatte o sono all’acqua di rose?
«I sistemi di controllo devono essere esterni, non di Legacoop, così come la revisione dei bilanci non può essere interna. Il ministero del Lavoro, se vuole, intervenga, non tramite Legacoop».
Cosa c’era di diverso prima?
«Non sempre ci si riusciva ma su una logica di sistema scattava una reciproca mutualità e anche i controlli. Certo, chi era dentro le Coop era fortemente ideologizzato, oltre al lavoro, la Cooperativa gli gestiva anche i risparmi, attraverso il prestito sociale. Le logiche di sistema si estendevano in Unipol a Cgil, Cisl e Uil, Cna, Confesercenti, Cia, che sedevano nel cda di Unipol. C’era un reciproco riconoscimento. Questo mondo oggi non esiste più».
Ma quello del Pd-Coop non è un sistema?
«Pochi sanno che abbiamo ristrutturato la situazione finanziaria della direzione dei Ds dal 2002 al 2004. Ristrutturando il debito di circa 300 milioni che i Ds avevano anche sulla base delle fideiussioni rilasciate a favore delle banche, accumulatesi nel tempo, da parte dei segretari. E abbiamo sanato la situazione con Banco di Roma, Mps ed Imi. Come anche con Cna o L’Unità. Non ci doveva essere e non c’era alcuna commistione. Era nell’ambito delle competenze professionali esistenti. Con la politica avevamo un rapporto tecnico. Davamo il nostro parere su questioni finanziarie. Unipol non ha mai chiesto alla politica. È la politica che invece si è interessata ad Unipol».
Nelle foto in alto, davanti allo scaffale di una libreria coop, ADRIANO TURRINI presidente di COOP ADRIATICA, e PIERLUIGI STEFANINI di fianco all’insegna UNIPOL
intervista di Antonio Amorosi su Libero Quotidiano nazionale del 11 Dicembre 2014 pag 1 – 10
toni patino
Perché Consorte non spiega i miracoli che sono avvenuti anche con lui al volante? Molte assicurazioni erano in crisi; arriva Unipol e si compra SAI, Milano Assicurazioni, Liguria ecc. Sempre Unipol costruisce mezza via Stalingrado, compra Unipol Arena, Uniway Hotel a San Lazzaro, si costruisce un grattacielo (!!!!) e altro che non so. Ma come è stato possibile? E’ possibile che i più grandi manager li abbia Unipol? Ma da dove vengono tutti quei soldi? E che dire di tutte le altre coop che da niente sono diventate dominanti nel loro settore: Manutencoop, Camst, Cotabo, Coop Costruzioni (sono rimasti solo loro nei loro settori,con tutti i lavori dati in subappalto ai rumeni), la Dolce che da niente in 14 anni è arrivata a più di 2000 dipendenti, e altre. Supermanager o grossi aiuti?