AL CAPONE DI VAIO


Il capitano del Bologna Marco Di Vaio è oggi sulle prime pagine di tutti i giornali locali facendo capolino anche su quelli nazionali perchè indagato per truffa e falso ideologico.

Il suo è diventato un caso. Marco Di Vaio appartiene a quell’élite di personalità che dovrebbero sentirsi addosso un obbligo in più, certo! Ma bisognerebbe guardare al suo reato, se confermato, con occhi più seri per comprenderne la portata, e non processarlo tutti i giorni sui giornali come fosse il mostro di Dusseldorf, Al Capone o Gargamella (cosa che si sta facendo da qualche mese a questa parte).

Infatti se paragonato ad altri reati e crimini che si compiono in questa città quello di Di Vaio (sempre se confermato) appare sicuramente odioso ma lascia anche capire quali tipo di reati in questa città vengono colpiti con determinazione e quali invece no.

Ogni reato è un reato e per questo andrebbe sanzionato. Ma le cose non vanno così. Ci sembra almeno singolare con quale forza si perseguano reati come il suo (o quelli di altri come i writer) che possono colpire allo stomaco i cittadini perché perfetti per delle campagne mediatiche ma di bassissimo rilievo sotto il profilo criminale. Non per questo chi sta indagando dovrebbe fermarsi, anzi, ma c’è qualcosa nei meccanismi in campo che dovrebbe fare aprire una riflessione.

Di Vaio è stato raggiunto da un avviso di garanzia per la vicenda delle targhe dei giocatori rossoblu’ legate al permesso per handicap di Marilena Molinari, la ‘factotum’ del club, anch’essa destinataria dello stesso provvedimento. Per loro l’accusa è di falso ideologico in atto pubblico e truffa continuata ai danni del Comune. Si sarebbero fatte annullare 45 multe.

La timidezza e la confusione con la quale si perseguono però altri reati lascia almeno perplessi.

Ce se sarebbero a decine di casi eclatenti ma vediamone almeno tre:

1°. Vi ricordate la sbrigativa archiviazione del caso Delbono durante la campagna elettorale 2009? Pochi mesi fa Flavio Delbono ha patteggiato la sua pena. Si era già dimesso da Sindaco di Bologna. È stata addirittura aperta a suo carico un’indagine per corruzione. Se quando sono stati denunciati i reati (e cioè in campagna elettorale) fossero stati perseguiti con la stessa determinazioni, con cui si persegue Di Vaio, non avremmo avuto il commissariamento, adesso avremmo un altro Sindaco (che piaccia o meno) e gli eventi storici avrebbero avuto un corso completamente diverso. Invece per perseguire quel reato si è dovuto aspettare che un GIP (giudice per le indagini preliminari, Giorgio Floridia) riaprisse il caso, arrivasse un nuovo Procuratore Capo, Roberto Alfonso, e la riassegnazione delle indagine a un magistrato diverso da quello che aveva indagato precedentemente. Tre eventi che, chi conosce la giustizia bolognese sa, sono probabili con la stessa media dei miracoli della Madonna di Lourdes.

2°. Vincenzo Barbieri, uno dei più grandi narcotrafficanti europei della ‘ndrangheta, ha vissuto indisturbato a Bologna facendo investimenti e controllando il mercato della droga locale per anni. Insieme al clan Mancuso pianificava la presa del settore immobiliare bolognese. Il tutto nel silenzio generale. Fino a che è stato arrestato e poi lasciato in libertà e ucciso in una guerra di ‘ndrangheta esplosa perchè il narcotrafficante desiderava affrancarsi dalla base calabrese. La sua presenza è stato portata alla luce solo per la caparbietà e l’insistenza di alcuni agenti di polizia locali e chiuso poi in un’indagine differente. Tanti altri singoli casi di esponenti della ‘ndragheta sono stati portati alla luce anche in questi ultimi mesi, come quello di Nicola Acri che deteneva in casa a Castel Maggiore tanto esplosivo da poter far saltare un ponte o una strada, mentre pezzi della magistratura locale si sentivano in dovere di precisare che non bisognava preoccuparsi: “Non mi risultano presenze dei clan” aveva confermato uno di loro sicuramente in buona fede. Ma il dato di fatto resta.

3°. Per quasi 20 anni il Comune di Bologna ha assegnato le sue case popolari con una commissione politica, composta da consiglieri comunali ed assessori, procurando danni e reati irrimediabili visto che le persone che ne avevano diritto diventavano un numero in una lista anonima ( e se era  anziani in attesa che morissero) e chi invece, anche senza titolo,  veniva segnalato dal politico di turno riceveva una casa del Comune in breve tempo. Se ne non avessi denunciato la prassi nel 2004 questo  modo di procedere sarebbe tuttora in vigore senza alcun intervento della magistratura locale. La magistratura nel caso specifico ha riconosciuto che le mie denuncie erano tutte fondate e le violazioni da me segnalate esistenti, che le case andavano riassegnate ma ha ritenuto di non poter procedere oltre.

Bene! Se Di Vaio ha commesso dei reati dovrà certamente risponderne e pagare. Ma fa almeno sorridere l’insistenza della determinazione con la quale si persegue il suo e l’evanescenza con la quale ci si approccia ad altri.

Sorridere se non restare amareggiati.

15commenti
  1. Giorgio Muccio

    24 maggio 2011 at 17:35

    Accecare di cazzate il lettore per far passare sotto silenzio le notizie rilevanti….. una delle tante tecniche di censura delle notizie.

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  2. cristina

    24 maggio 2011 at 18:40

    Nel lontano luglio 2006 , il PM Scarpinato, nel corso di un convegno all’Università di Palermo fece una chiara analisi del post- Provenzano : “Chi vive a Palermo nella dura trincea della quotidianità è costretto a sperimentare sulla propria pelle come la realtà sia sideralmente lontana da quella edulcorata e virtuale ammannita dai media di regime. (…) È costretto a sperimentare come questo sia ancora un luogo dove non esiste uno statuto della cittadinanza, ma solo quello del suddito e delcliente e dove, se non fai parte della casta dei potenti e se non hai santi in paradiso, i tuoi diritti restano sulla carta e vivere è molto difficile, a volte può diventare un inferno e ti trovi ad un passo dalla morte. Dico “ad un passo dalla morte” perché questa è una città dove la malasanità, figlia della mafia bianca e della
    malapolitica, semina 40 morti in un solo anno. Sono cifre da capogiro, da Terzo mondo. Questo è un luogo dove se non hai buone entrature personali nel mondo della sanità il miglior medico resta l’Alitalia, cioè prendi l’aereo e vai a curarti nell’Italia civile. Una città dove, per quanto riguarda la nomina dei dirigenti, la distribuzione delle risorse pubbliche, imperano il clientelismo, il nepotismo, la spartizione lottizzatoria senza nessun rispetto della meritocrazia e dell’interesse pubblico, cosicché chi si ostina a restare con la
    schiena dritta e non si rassegna a vendere l’anima a qualche padrino politico-mafioso è costretto a restare ai margini. Una città dove non ha senso parlare di lavoro libero e dignitoso, perché costituisce una drammatica realtà di massa quella di migliaia di lavoratori del settore terziario e dell’edilizia che pur di non essere licenziati accettano di non avere il versamento dei contributi o accettano il decurtamento sottobanco della busta paga fino al 40%. Una città nella quale moltissime imprese restano sul mercato grazie all’evasione fiscale,
    al mancato pagamento dei contributi ai dipendenti, al sottopagamento, alla sistematica violazione delle norme antinfortunistiche che determinano ogni anno morti, incidenti sul lavoro che non vengono quasi mai denunciati dai lavoratori perché altrimenti questi verrebbero definiti rompiscatole o inaffidabili e sarebbero emarginati dal mondo del lavoro. Una città nella quale molte altre imprese ingrassano non grazie al rispetto delle regole del mercato, ma grazie alla costruzione di veri e propri oligopoli di settori protetti da potentati
    politici e mafiosi. Una città nella quale chi vuole fare impresa liberamente deve misurarsi con queste e con mille altre difficoltà e spesso, se ha bisogno di finanziamenti pubblici, di autorizzazioni, si trova dinanzi alla drammatica scelta di dover rinunciare o di piegare la testa e infeudarsi a qualche tribù politica alla quale giurare eterna fedeltà. Una città nella quale il divario tra poveri e ricchi cresce vertiginosamente.(…). Eppure, a fronte di tutto ciò e di molto altro a cui non è possibile fare cenno altrimenti passiamo la serata
    ad inventariare le illegalità di massa che tempestano questa città, i media di regime hanno fatto credere all’opinione pubblica che in Sicilia esisteva un unico grande demiurgo del male, un unico grande tessitore di illegalità, un’unica causa di sottosviluppo: il genio del male Bernardo Provenzano ed i suoi accoliti. Non vi è stato nessun affare sporco in questi ultimi anni, dalla malasanità alla manipolazione degli appalti, dalle nomine truccate dei primari, ai manager del settore pubblico dietro il quale non si sia fatto aleggiare il fantasma del genio del male Bernardo Provenzano. (…)

    La censura dei media di Regime .
    Per comprendere come sia stato possibile ordire questa colossale truffa
    culturale che trae in inganno l’opinione pubblica nazionale e persino alcuni operatori culturali in buona fede occorre riflettere che il sapere, e in particolare il sapere sulla mafia, non è mai stato innocente o neutrale. Il sistema mediatico e culturale che crea l’oggetto mafia, che crea cioè la percezione collettiva della mafia, non è un mondo a parte, ma rispecchia al suo interno gli stessi rapporti di potere che esistono nel mondo politico della società. La strategia da sempre adottata da questo sistema di potere, divenuta
    particolarmente raffinata in questi ultimi anni, è stata quella di puntare tutti i riflettori su Provenzano facendolo divenire una icona mediatica polarizzante che ha consentito di oscurare tutto il resto. Con l’espressione “tutto il resto” intendo il rinnovato ruolo egemonico assunto dalla borghesia mafiosa tornata ad essere oggi, dopo il decennio della parentesi corleonese, quella che è sempre stata nella storia della mafia: cioè l’architrave portante del sistema di potere mafioso.
    A proposito dell’oscuramento, per anni Rai e televisioni private hanno operato una censura sistematica su tutte le vicende criminali che riguardano la borghesia mafiosa. Faccio soltanto alcuni esempi. Se oggi provate a chiedere ad un cittadino di Bologna o di Padova o di Roma che fine ha fatto il processo Andreotti, nove volte su dieci vi sentirete rispondere che Andreotti è stato assolto con formula piena. E quando questo cittadino apprenderà che invece con sentenza definitiva è stato accertato che Andreotti ha avuto rapporti organici con la mafia fino al 1980 ed ha partecipato a riunioni con capimafia in Sicilia
    in cui si discuteva dell’omicidio del presidente della Regione
    Piersanti Mattarella ti guarderà incredulo ed allibito.
    Come si è potuto verificare questo capolavoro di disinformazione di massa? Mi soffermo su questo aspetto perché costituisce un prototipo della disinformazione di regime. Tutte le udienze del processoAndreotti sono state riprese dalle telecamere. Il presidente del Tribunale, all’inizio del processo, per evitare che l’aula dell’udienza si trasformasse in un accampamento occupato da decine e decine di operatori di televisioni di tutto il mondo ha autorizzato
    soltanto le riprese televisive della Rai imponendo però l’obbligo alla Rai di cedere le riprese anche alle altre televisioni private. Ebbene, al termine del processo è stato impedito che una puntata della famosa trasmissione Rai ‘Un processo in pretura’ venisse dedicata al processo Andreotti. Così gli italiani hanno potuto vedere numerose puntate di questa trasmissione dedicate a delitti passionali, a rapine, a stupri, ma è stato loro negato di vedere una sintesi di quello che è stato definito il processo del secolo.
    La televisione tedesca ha chiesto alla Rai nazionale una copia delle riprese televisive dietro pagamento. La Rai ha negato l’autorizzazione.
    Bruno Vespa ha dedicato una puntata trionfale della sua trasmissione Porta a porta all’assoluzione di Andreotti in primo grado. Quando però Andreotti in secondo grado ed in Cassazione è stato riconosciuto colluso con la mafia fino al 1980, Vespa ha dedicato due puntate a Padre Pio e alla vertiginosa crescita del prezzo degli ortaggi in Italia. La stessa cosa Vespa ha fatto quando Marcello Dell’Utri è stato condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno con la mafia. Quella sera la puntata è stata dedicata, se non ricordo male, alla sessualità dei cinquantenni. Lo storico Nicola Tranfaglia ha raccontato le gravissime difficoltà che ha dovuto superare per trovare un editore che gli pubblicasse un libro sul processo Andreotti. L’attrice Piera
    Degli Esposti ha affermato che a seguito di fortissime pressioni ha dovuto rinunciare a mettere in scena lo spettacolo teatrale sul processo Andreotti.
    Certamente tutti ricorderete le polemiche sorte dopo la trasmissione Report. Il servizio di Mariagrazia Mazzola spiegava come in Sicilia il pagamento del pizzo fosse un fenomeno di massa. Nell’arco di una settimana è stata imbastita una trasmissione definita di riparazione, nel corso della quale sono stati intervistati alcuni imprenditori che hanno dichiarato di non essere mai stati a contatto con la mafia. Il caso ha voluto che 15 giorni dopo la Procura di Caltanissetta, nel corso di un’indagine sulla mafia, abbia accertato che questi imprenditori erano coinvolti nel pagamento di tangenti. Ricordiamo anche la censura della Rai sulla trasmissione di Lucarelli dedicata ai mandanti delle stragi e la recente censura operata sulla fiction di Falcone.
    Questi sono soltanto alcuni degli episodi più noti. Ma i giornalisti che lavorano in Rai raccontano, in camera caritatis, come vivono sulla propria pelle la censura quotidiana sulle notizie di mafia che riguardano la mafia politica e i colletti bianchi; una censura che si esplica certe volte nel tagliare i servizi, altre volte nell’edulcorarli, altre volte ancora nel mandarli in onda soltanto a tarda notte. A dimostrazione di come il sistema mediatico e culturale italiano riproduca al suo interno gli stessi rapporti di forza del sistema politico, ricordo che l’ultima relazione della Commissione
    Parlamentare Antimafia approvata dalla maggioranza di centro destra sia giunta al punto di negare di fatto il carattere strutturale del rapporto mafia-politica, riducendolo ad una situazione transitoria (leggo testualmente) “legata a condizioni di incultura, di scarsa mobilitazione, a tensioni sociali e a momenti di crisi morale ed economica”. Questa sistematica censura sul versante della mafia borghese da parte dei media di regime fa esatto pendant con l’informazione a senso unico sulla mafia militare e con l’ininterrotto spot su Provenzano elevato a simbolo totalizzante della mafia. Il culmine di questa strategia è stata a mio parere la trasmissione dedicata da Rai 2 alla cattura di Provenzano avvenuta all’interno
    del covo di Montagna dei Cavalli. (…) Le telecamere indugiavano ossessivamente su ciotole sporche di ricotta e sulle masserizie contadine del covo di Provenzano. Il messaggio culturale era esplicito ed univoco: avete visto che cos’è la mafia? Una storia di bassa macelleria criminale e di ex pastori come Provenzano che vivono in casolari come questi che puzzano ancora di stallatico.
    Messaggio rilanciato alla grande nei giorni successivi. Nella trasmissione di La 7 Otto e mezzo condotta da Giuliano Ferrara i vari intervenuti passavano il tempo a ridacchiare, a darsi di gomito, facendo del sarcasmo su tutti i magistrati che avevano invece sostenuto in questi anni i teoremi secondo cui la mafia è una storia che riguarda i colletti bianchi.

    Borghesia mafiosa e borghesia nazionale di Regime.

    Alla luce di questa premessa è chiaro che affrontare il problema del futuro della mafia partendo dalla cattura di Provenzano e con riguardo solo per gli equilibri interni della mafia militare e popolare significa cadere nella trappola culturale ordita dagli apparati di regime. Significa abboccare all’amo degli strateghi della disinformazione realizzata con l’informazione a senso
    ossessivamente unico. (…) Chi conosce la storia di questo Paese sa che il presente ed il futuro della mafia, oggi come ieri, si gioca piuttosto sull’evoluzione interna della borghesia mafiosa, una delle componenti strutturali della borghesia nazionale di regime. Chi conosce la storia con la S maiuscola di questo Paese sa che quella della mafia non è solo storia di bassa macelleria giudiziaria, ma è anche e soprattutto la storia di settori di una classe dirigente delle più violente d’Europa che dall’Unità d’Italia ad oggi ha usato la violenza mafiosa per bloccare i processi di rinnovamento politico che mettevano a rischio il sistema di potere basato sui privilegi e sull’ingiustizia sociale. È la borghesia mafiosa che nell’immediato dopoguerra
    ordina la strage di Portella della Ginestra dopo che le sinistre avevano vinto le elezioni regionali nel 1947. Ed è la borghesia nazionale di regime, di cui la borghesia mafiosa è componente, che copre poi i mandanti politici a livello nazionale. Quella strage e le decine di omicidi di sindacalisti del mondo politico e contadino chiusero per sempre una stagione politica, condannando il
    movimento contadino ad un arretramento e inaugurando il centrismo a Roma come a Palermo.
    Da allora le sinistre non vinceranno più le elezioni e saranno condannate a restare una forza minoritaria oscillando tra opposizione e compromesso. Quando circa 30 anni dopo Piersanti Mattarella sulle orme di Moro tenterà di aprire le porte del governo alla sinistra ancora una volta la borghesia mafiosa sarà protagonista di un omicidio politico-mafioso che chiuderà per sempre in campo nazionale la stagione dei governi di solidarietà nazionale.
    Il processo Andreotti ha fotografato e consegnato alla storia questa vicenda drammatica. Le riunioni nelle quali si è discusso dell’omicidio Mattarella e alle quali partecipano i capi della mafia militare, i massimi esponenti della borghesia mafiosa del tempo, Lima e i cugini Salvo e il simbolo vivente del potere politico nazionale Giulio Andreotti non sono soltanto un capitolo importante di una vicenda processuale, ma sono il fotogramma riassuntivo e simbolico di un’intera storia nazionale. Se vogliamo capire che cos’è stata la
    mafia, che cos’è oggi e che cosa sarà domani dobbiamo mettere da parte le ricotte e le prostate di Provenzano propinateci dagli apparati culturali di regime e inaugurare una riflessione, un dibattito nazionale serio su questa ed altre vicende. Dovrebbe essere chiaro a tutti che dai vari Provenzano di oggi e di ieri avremmo potuto liberarci da più di un secolo se tutti costoro non avessero goduto a Palermo come a Roma della protezione dei vertici del potere
    regionale e nazionale. (…)” Dal 2006 ad oggi la situazione italiana e peggiorata nel senso indicato da Scrpinato . Tutta l’Italia rischia di diventare come la Sicilia o la Calabria, grazie al diffondersi dei tentacoli corporativi della borghesia mafiosa dei colletti bianchi. Falcone aveva raccomandato l’istituzione di una banca dati nazionale e internazionale sulle famiglie mafiose . Che ne è stato di quella proposta? Oggi non solo la Sicilia ma tutta ì’Italia per difendersi dalla cancrena mafiosa ha bisogno di quello Statuto di Cittadinanza che Scarpinato invocava per Palermo e la Sicilia .

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  3. cristina

    24 maggio 2011 at 18:56

    SICILIA DOCET.
    Merita riportare anche il resto del discorso pronunciato da R. Scarpinato nel lontano luglio 2006:
    “Quello che è grave è che Sicilia docet. Le vicende giudiziarie di questi ultimi anni in campo nazionale, da Calciopoli alla bancopoli dei furbetti del quartierino, dal Savoia-gate al caso Parmalat, dalla recente tangentopoli pugliese al caso Sismi, disegnano i contorni di una Italia in cui ampi settori della classe dirigente sono agglutinati in una costellazione di associazione a delinquere che mutuano almeno in parte il metodo mafioso per operare scalate bancarie, conquistare settori di mercato, acquisire il controllo degli appalti, ottenere illecitamente i finanziamenti pubblici e per liberarsi degli avversari
    politici. Associazione a delinquere che a volte sembra far parte di una più vasta rete.
    Il metodo mafioso a volte emerge chiaramente. A proposito di una recente indagine che ha portato alla richiesta di arresto per concussione dell’ex presidente della Puglia, il procuratore aggiunto di Bari ha testualmente dichiarato: “Abbiamo trovato un modo di amministrare paragonabile all’organizzazione di una cupola destinata a privilegiare l’interesse privato di pochi”. In altri casi il metodo mafioso traspare a piene mani dalla lettura delle trascrizioni di intercettazioni dove personaggi che tengono le fila degli
    illeciti sono in grado di condizionare interi settori grazie al potere di intimidazione che deriva loro dal far parte di importanti lobby di potere. Si realizza così che il problema mafia sia divenuto nazionale contrariamente a quanti ne sostengono invece la sua regionalizzazione. Si realizza la previsione sciasciana secondo cui ogni anno che passa la palma sale verso il nord. Lo stesso Sciascia nello spiegare il senso del romanzo ‘Il contesto’, nel quale denunciava la “mafiosizzazione” strisciante della società italiana, così descriveva l’Italia: “Un Paese dove non avevano più corso le idee, dove i principi ancora proclamati e conclamati venivano quotidianamente irrisi, dove le ideologie si riducevano in politica a pure denominazioni nel gioco delle
    parti che il potere si assegnava, dove soltanto il potere per il potere
    contava. Possono essere siciliani e italiani la luce, il colore, gli accidenti, i dettagli; ma la sostanza vuol essere quella di un apologo sul potere, sul potere che sempre più degrada nella impenetrabile forma di una concatenazione che approssimativamente possiamo definire mafiosa”. (…)
    Il pericolo di una “democrazia mafiosa”

    Nel mondo della politica, grazie alla riforma elettorale e al diniego assoluto anche da parte del centro-sinistra delle primarie, tutto il potere è stato concentrato nelle mani di poche oligarchie di partito, di vertici di partito.
    Una decina di persone in tutto il Parlamento formano la lista al di fuori di qualsiasi processo democratico e decidono così autonomamente chi debba essere eletto. Mario Pirani ha scritto a questo proposito che siamo tornati ai tempi delle monarchie ottocentesche nelle quali la nomina del Parlamento veniva graziosamente concessa dal sovrano. Nel mondo del lavoro grazie alla legge Biagi si è avuta una vera e propria istituzionalizzazione del caporalato. Nel mondo della magistratura tutto il potere è stato concentrato nelle mani di 26 procuratori della Repubblica, piccoli Cesari che sono divenuti gli unici titolari del potere penale. La fascistizzazione e la feudalizzazione dello
    Stato della società civile ha posto le premesse per la creazione della società dell’obbedienza, per la costruzione di una società in cui l’asse sociale ruota intorno al rapporto padrone-cliente, sovrano-suddito. Se si considera che il sistema mafioso si fonda proprio su questa logica, sul prevalere del potere personale su quello impersonale della norma, sul prevalere dell’interesse personale del clan su quello pubblico, sulla cultura dell’obbedienza e della sottomissione ai capi si comprende quale sia il motivo strutturale e sistemico del proliferare del metodo mafioso in campo nazionale come profetizzato da
    Sciascia, Pasolini, Tranfaglia ed altri.
    Alla luce di queste premesse mi pare evidente che oggi come ieri il futuro dell’antimafia non si gioca a Palermo ma a Roma. Le politiche criminali e l’azione giudiziaria, quando devono misurarsi con fenomeni criminali come la mafia che hanno un profondo radicamento sociale e macropolitico, possono incidere soltanto sugli effetti e non sulle cause. Oggi più che mai a fronte
    della deriva autoritaria e feudale del sistema politico italiano non è
    possibile, secondo me, nemmeno immaginare una strategia antimafia se prima non si ripristinano condizioni di agibilità democratica. Questa agibilità democratica passa attraverso una sistematica “demafiosizzazione” del sistema
    politico, culturale italiano. (Uso questo termine, “demafiosizzazione”,
    nell’accezione di Sciascia e di Tranfaglia). O se si preferisce attraverso la sistematica eliminazione di tutte le tossine introdotte nell’ordinamento in questi anni. Le tossine della istituzionalizzazione del conflitto di interessi, quelle della legalizzazione della illegalità della classe dirigente, della confisca della sovranità popolare, della creazione di un diritto diseguale, della feudalizzazione del tessuto istituzionale, dell’imbavagliamento della
    libera informazione, della precarizzazione del rapporto di lavoro, della sostituzione del potere personale dei capi al primato della lobby impersonale e generale, della sottoposizione della magistratura al controllo obliquo della politica, della legittimazione culturale della corruzione e dei rapporti della mafia e politica mediante la candidatura e l’elezione di soggetti inquisiti e condannati per corruzione e mafia. Se queste tossine non saranno prontamente
    eliminate dall’ordinamento, dal tessuto istituzionale italiano il metodo mafioso è destinato a mio parere a divenire sempre più una componente strutturale della politica e della società italiana e potremo felicemente avviarci verso quella che alcuni analisti politici definiscono una “democrazia mafiosa”.
    Sembra un ossimoro, ma non lo è. I consigli comunali sciolti per mafia sono un esempio di “democrazia mafiosa”. In fondo, se il piduismo tanto deprecato negli anni ’80 si è fatto Stato, se ciò che fino a 10 anni fa sembrava fantapolitica è diventato realtà e ci siamo ormai abituati a conviverci perché non dovremo assuefarci anche ad una borghesia mafiosa? In questo ipotetico scenario futuro forse potrebbe anche avvenire che tra qualche anno il tanto deprecato Provenzano rivendichi di essere riabilitato come uno che veniva da lontano e guardava lontano e quindi come uno dei padri fondatori della nuova costituzione
    materiale del Paese.

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  4. matteo

    24 maggio 2011 at 19:28

    E’ vero che il reato del Sig. di Vaio ha una rilevanza minore rispetto a cose soprariportate, ma quello che a mio avviso fa veramente schifo è la capacità di reddito della persona in questione rispetto alla “furbata” da lui praticata per…..risparmiare…? Si vergogni lui per primo, per le sue colpe.
    Noi imprenditori artigiani ci confrontiamo tutti i giorni con le dinamiche ed i divieti legati al traffico ed alla circolazione, senza per questo mettere in atto porcate come quella che lui “avrebbe” commesso.

    Rispondi
  5. Cristoforo

    25 maggio 2011 at 06:12

    Di Vaio ha sbagliato ed è doveroso che ne risponda . Sembra un luogo comune ma nelle pieghe di questa storia (che terrà banco sulla Stampa per altri mesi ancora) si nascondono le contraddizioni di una macchina anche questa dotata di uno strano pass . E’ un pass che utilizzano in molti e di cui molti hanno beneficiato negli anni passati. E’ il pass dell’impunità . Peccato che questa distorsione sia applicata oggi ad una storiella di ordinaria cronaca giudiziaria se non di gossip. Ci sono altri pass da ricercare ….e non sono certo abbinati alle auto . Chi li concedeva ?

    Rispondi
  6. sandro50

    25 maggio 2011 at 12:53

    Gentile Signor Amorosi, le considerazioni contenute nel suo sito sono sempre interessanti, tanto che talvolta mi permetto di riprenderle e riproporle, precisandone ovviamente la fonte.
    In questo caso però mi viene un dubbio, pur essendo io un masochista abbonato seriale del Bologna e tifoso di ” Marco olè”.
    Non è che nel definire una scala di priorità nelle infrazioni finiamo per giustificare tutto con un atteggiamento che si potrebbe definire “all’italiana”?
    Per esempio, ho sentito varie persone anche “di sinistra” affermare che tutto sommato fosse capitato a loro un “tocco” di ragazza come Ruby non ci avrebbero pensato un momento. Mica faceva la novizia delle Clarisse di mestiere! E altri, sempre di sinistra, dire che sono arrabbiatissimi con Berlusconi per la storia del bunga bunga. (veramente usavano un’altra parola!)Erano arrabbiati perchè non li aveva mai invitati a partecipare. …però all’estero la carriera politica di qualcuno finisce dopo aver ammesso la copiatura di una tesi di laurea. Altri metri di giudizio…altre civiltà…

    Rispondi
  7. Valerio Giuliano

    26 maggio 2011 at 12:52

    Bravo Antonio, la tua analisi del fenomeno é puntuale come sempre.
    La campagna di stampa intrapresa non é tanto tesa a stigmatizzare la discutibile condotta dei giocatori, ma serve a celebrare, e in alcuni casi ad autocelebrare, i nostri noti eroi della procura (il solito trittico.
    Recentissimo un articolo di repubblica che tesse le lodi dell’aggiunto di Bologna, definito da questa nota firma del giornalismo bolognese “il vero sostituto della figura di sindaco” che in questo periodo ha amministrato la città.
    Ma dove guardano questi eroi quanto la città diviene terra di conquista della criminalità organizzata, si fa prima a gettare una carriola di fango su Guazzaloca ad esempio !

    Rispondi
  8. admin

    26 maggio 2011 at 18:26

    @Sandro50
    Grazie di tutte le valutazioni e dell’analisi. Mi sembra un spunto importante.
    Nello specifico e nel mio piccolo penso solo che ogni reato andrebbe preseguito considerandone la rilevanza. Non si può impiccare un tizio che ruba una macchina né sanzionare un assassino con una multa. Il reato imputato a Di Vaio (che è ancora indagato per un reato e quindi siamo in una fase più che preliminare) se venisse confermato non è certo simpatico. L’azione è ancora più odiosa di altre perchè approfitta di una situzione di privilegio, certo (sempre se poi non scopriamo a cose fatte che il calciatore è stato solo superficiale e pressappochista pensando di avere benefit e privilegi che non doveva avere ma non ho abbastanza elementi per poter fare una previsione in un senso o nell’altro). Non dico affatto di giustificare ma di capirne la “portata criminale” se c’è. La superficialità con la quale lo si massacra sui giornali da molte settimana è già una sentenza. La stessa superficialità oltretutto con la quale gli si è assegnata in positivo l’onorificenza “Nettuno d’oro” per aver segnato dei gol. La stessa, nè più ne meno. Il problema più grosso che sottente è che nella nostra società pensiamo che delegando alla magistratura la ricerca della giustizia si riesca a costruire una società più giusta. Ma io credo che la magistratura intervenga e debba interventire solo per sanzionare reati e quindi inevitabilmente a cose fatte. Sulla forza e determinazione con la quale la magistratura bolognese interviene su eventuali reati imputabili alla pubblica amministrazione o alla criminalità organizzata ho detto sopra e tante altre volte negli articoli che pubbico o nel Saggio/Atlante “Tra la via Emilia e Il clan”. Ma comunque dovrebbe essere la classe dirigente di questa città e la sua politica a trovare un modo più giusto per vivere insieme e non frustrare violentemente le pretese di giustizia di una massa di popolazione che ogni giorno viene umiliata nei propri diritti. E c’è tanta di questa popolazione. Io credo che l’azione che si è innescata con Di Vaio sia un processo a catena tra media e giustizia, un processo anche inconsapevole per certi versi, ma che ne amplifica le dimensioni surrettiziamente (ottima per campagne mediatiche);per poter affermare che in questa terra (L’Emilia rossa e tutti i suoi miti desueti) per un’azione contro la legge si viene sanzionati anche se si è parte della sua ELITE. Ma la realtà è ben altra. Molto diversa. Infatti ci sono reati nei quali la timidezza regna e altri in cui si è molto determinati (la storia di questo territorio lo conferma). E’ questo che io lo considero preoccupante e deleterio. Oltrettutto se si seppellisce la polvere sotto il tappeto prima poi questa torna in forma più inquientante se non mostruosa (vedi la drammatica storia settennale della UNO BIANCA). E’ solo una questione di tempo.

    Rispondi
  9. cristina

    27 maggio 2011 at 19:27

    Davvero c’è qualcuno che pensa-come admin sembra credere che sia un pensare comune- che “delegando alla magistratura la ricerca della giustizia si riesca a costruire una società più giusta “? Gli italiani per quanto superficiali o sciocchi non credo siano minimamente sfiorati da tale credenza. Sarebbe già un traguardo per il nostro sistema giustizia se i magistrati facessero il loro dovere , usassero le loro capacità cognitive( nella speranza che esistano) senza farsi predisporre deleghe di archiviazione( o peggio ancora deleghe di procedere all’incriminazione) da corpi statuali che dovrebbero prendere ordini dalla magistratura , non dare ordini ai magistrati. Se ci sono magistrati che prendono ordini da corpi dello stato , anzichè rispondere solo alla loro libera coscienza come possiamo credere all’indipendenza della magistratura ? Il vero problema è che la magistratura non dispone di una polizia giudiziaria preparata professionalmente , capace intendere e di osservare scrupolosamente la Costituzione della Repubblica , posta sue esclusive dipendenze . In questa situazione le P2 proliferano e inquinano. Il polverone sui permessi abusati da Di Vaio mi sembra ridicolo e un’indice di pubblica malafede . Il “piccolo crimine ” di Di Vaio è solo una scusa per non parlare dei veri crimini.

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  10. Cristoforo

    28 maggio 2011 at 14:52

    Cristina , mi trovi ancora integralmente dalla tua parte . E’ reale che esistano “bande” di “servitori istituzionali” al servizio di pezzi dello Stato alla stregua di bravi . Spesso quelle bande in divisa non conservano equidistanze con altre Istituzioni e ne diventano compagni di merende , di letto , di affari, di iniquità . Si usurpano vicendevolmente le funzioni come si fa tra complici. E in questo putrefatto mondo dei codici bolognesi eccoli i reati che danno prestigio e prova della solerzia delle Istituzioni : i Pass di Di Vaio ,il body guard di Vasco Rossi etc.etc. E dietro queste soubrette si muove una Stampa asservita al sistema come il piu’ servo dei servi. La gente ha consapevolezza solo di cio’ che legge sugli organi di informazione cittadini e non comprende i sottofondi e le verità che non si possono dire , pena ritorsioni . Mai letto un servizio d’inchiesta a Bologna che non sia una volgare velina di palazzo . Mai mordere e sempre al guinzaglio . Il crimine è dunque Di Vaio . Nella città dove Magistrati che assurgono (per la Stampa) a sostituti di Sindaci, a teologi ( ricordate il caso della Madonna piange sperma ?), a panacea di ogni male .
    Non lo capisce la gente ma Bologna è una realtà concettualmente islamica.
    Nei paesi arabi il termine ayatollah individua una figura di potere esperta di giurisprudenza, etica, filosofia e misticismo.
    Bologna puo’ essere oggi giudicata da chi oggi la sta giudicando?

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  11. Cristina

    28 maggio 2011 at 19:15

    Caro Cristoforo, ti rigrazio per il commento sopra espresso. Non capisco però la tua definizione di Bologna come “realtà concettualmente islamica”.Credo che Bologna e tutta l’Emilia Romagna sia una realtà viva ed intellettualmente vivace che ha sofferto in modo particolare i conflitti che si sono innestati nel tessuto amministrativo, sociale e politico dell’Italia del dopoguerra. Un sano edonismo che preservava la società da forme masochistiche e puritane di asservimento socio-economico , dopo il crollo del muro di Berlino, è stato strumentalizzato dall’intelligence mafiosa ( mafia s.p.a)penetrata nelle istituzioni e nell’economia ,che lo ha agganciato a logiche degenerative di corruzione e degrado etico e morale . Mi pare fosse Pasquale Squitteri a definire la mafia come una forma di sfruttamento industriale (socialmente patologizzante )della trasgressione.
    Una definizione efficace ,strutturalisticamente azzeccata .
    Non è però escluso che Bologna e l’Emilia Romagna possano risollevarsi , ritrovare una nuova libertà , guarire le forme di rimozione storica di cui sono vittime e ritrovare una nuova energia etico-morale. Il centocinquantenario del’unità di Italia potrebbe essere una buona occasione . Chissa?
    Un’altra frase mi sembra sibillina. Cosa significa chiedersi se Bologna può essere giudicata da chi oggi la sta giudicando. Non mi sembra che questa città stia realmente riflettendo su se stessa come sarebbe opportuno facesse. Per giudicare occorre prima pensare e riflettere. Per giudicare bene occorre disporre di vere conoscenze e informazioni , di libertà di pensiero, di libertà di azione e di coraggio intellettuale . Quanti bolognesi noti e meno noti possono attribuirsi queste qualità?

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  12. cristina

    30 maggio 2011 at 15:21

    Avevo scritto un commento alla replica 28 maggio,ore 14:52 di Cristoforo. Che fine ha fatto?

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  13. Cristoforo

    31 maggio 2011 at 05:38

    Cristina …non è forse di taglio islamico la concezione e la forma della Giustizia bolognese? Non è forse vero che vi siano delle forzature , dei dogmi politico – giudiziari che hanno caratterizzato la vita di questa città? Non è forse la Giustizia ad aver dettato le scelte politiche cittadine ? Ti pare possibile che si debba leggere che magistrati hanno fatto le veci di un Sindaco ? E ti pare possibile che solo un cambio ai vertici di un Ufficio giudiziario abbia sancito la fine di certe intoccabilità politiche durate almeno un decennio ?
    Mi chiedo che cosa stiamo vivendo .

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  14. cristina

    31 maggio 2011 at 17:50

    Più che di taglio islamico mi sembra che sia una giustizia fortemente inquinata da almeno tre fattori: 1) di carattere generale ,che riguarda il problema dello Stato di Diritto in Italia ( le gravi carenze storiche e le difficoltà di attuazione politico-economica).
    2)la presenza inquinante di una mafio-massoneria ,che invece di venire perseguita attaverso lo strumento della legge Alnselmi , continua a schiacciare la libertà dei cittadini ( non importa a quale partito o corrente appartengono)di disporre consapevolmente della lora vita e del loro destino.
    3)La presenza devastante per la giustizia e per la democrazia delle “bande di servitori istituzionali “, testè citati da Cristoforo, che come i bravi del seicento “si mettono al servizio di pezzi dello stato. Spesso quelle bande in divisa non conservano equidistanze con altre Istituzioni e ne diventano compagni di merende , di letto , di affari, di iniquità . Si usurpano vicendevolmente le funzioni come si fa tra complici”.
    Tutti questi fattori concorrono a rendere quanto mai difficile il libero e responsabile svolgersi di indagini penali a tutela del cittadino che denucia dei reati.
    Il punto tre poi , è quello più pericoloso in questo momento , perchè questi “bravi” sono dotati di tecnologie d’avangardia , di accesso privilegiato a informazioni riservate , con cui esercitano le loro manipolazioni ,il loro ricatto, la loro arroganza e la loro predazione. Una mentalità da servi unita all’assenza di scrupolo e al senso violento dell’impunità -tipico dei funzionari di stato e delle polizie degli stati non democratici- che si poggia sulla copertura offerta da quei “pezzi dello Stato”.
    Il mondo islamico sta faticosamente cercando di uscire dallo stato di servaggio morale e sociale che dura da secoli e forse riuscirà a conquistarsi delle libere istituzioni , distruggendo la signoria dei ras ,dei clan tribali e l’oppressione ideologica degli iman.
    Nella sua accezione teocratica invece l’Islam è troppo lontano dalla nostra storia : questa è la ragione per cui non vedo l’affinità tra Bologna e l’Islam ; a meno che non si parli di affari e di materie prime( su questo terreno angloamericani e sauditi hanno siglato patti d’acciaio), ma non mi sembra che Cristoforo alludesse a tali questioni.

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