SANTI E FANTI NELLA ROULETTE DELLA GIUSTIZIA


Siamo nel giugno del 2008. A Bologna è in programma una manifestazione teatrale in Vicolo Bolognetti nella sede del quartiere San Vitale di Bologna. Lo spettacolo ha un titolo che fa da subito discutere: “La Madonna Piange sperma”, ed è promosso dall’associazione gay “Carni scelte”. Si scatenano furiose polemiche sulla natura e il titolo della rappresentazione, per molti considerata blasfema, per altri solo volgare e disgustosa. Dopo le critiche della Curia e persino dell’assessore alla Cultura, Angelo Guglielmi, anche il sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, boccia l’evento definendolo «inaccettabile volgarità che offende credenti e non credenti». Il Comune annulla l’evento che ha uno strascico giudiziario inevitabile. Si scopre peraltro che la manifestazione godeva del patrocinio, poi revocato, da parte del ministero delle Politiche giovanili e dello Sport, guidato da Giovanna Melandri.

Jurta, l’associazione che curava la rassegna, annulla l’evento e si scusa per l’errore tecnico, il titolo è finito per errore nella rassegna, che «ha offeso la sensibilità di molti». Ma la polemica e l’annullamento della mostra e dello spettacolo scatena ulteriori polemiche. Piovono denunce alla Procura bolognese contro gli organizzatori della manifestazione sulla base dell’articolo 403 del codice penale, “offesa a una confessione religiosa mediante vilipendio di persona”. Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa mediante vilipendio di chi la professa è punito con la multa da 1000 a 5000 euro. Persino il presidente onorario dell’Arcigay Franco Grillini, ora dell’IDV, ammette che il titolo della mostra che sarebbe dovuta andare in scena al quartiere San Vitale fosse eccessivo. La comunità diocesana, invece, riportano le cronache, decide di raccogliersi «in una preghiera di riparazione per gli oltraggi di cui è stata recentemente oggetto la Vergine Maria Madre di Dio», come recita una nota dell’Arcidiocesi. La Curia aveva definito la mostra-spettacolo una «bestemmia abominevole».

Il terreno è complesso. L’offesa religiosa è certa. L’arte può essere estrema ma le bestemmie restano tali.

Ma cosa fa la Procura?

La Procura, attraverso il Procuratore Capo dell’epoca, Enrico Di Nicola, archivia la notizia di reato (come tante altre quando si va andava a toccare una qualche amministrazione pubblica locale) con questa motivazione : “Per il codice la bestemmia è tale se indirizzata alla divinità. La Madonna non lo è“.

Questa motivazione suscita la reazione immediata della Curia :” “”Preso atto, non senza intimo turbamento e preoccupazione, di tutto ciò, non possiamo però, infine, tacere lo sconcerto per le motivazioni e le dichiarazioni ‘a latere’ da parte dello stesso Procuratore, che ne hanno accompagnato la decisione e che sono state ampiamente riportate dalla stampa, laddove esse prefigurano un evidente sconfinamento di campo. Le Procure facciano, come possono, il loro mestiere, e lascino a chi compete l’ermeneutica della dottrina della fede e l’esegesi dei testi conciliari. Vorremmo considerare ciò che abbiamo letto – per esempio, che la Madonna non apparterrebbe alla categoria della santità, o che sarebbe più di una divinità – niente altro che amenità fuori luogo; e, se così fosse, ce ne dorremmo per l’istituzione da cui provengono. Ma ciò che non potremo mai accettare è che le Procure si facciano maestre di fede. Altri, nella Chiesa, sono i maestri. Anche questo rientra nella vera laicità”.

La vicenda è di per se emblematica. E la raccontiamo perché esprime nel suo piccolo il modo in cui la verità e la realtà di questo territorio prende la sua forma.

Per Di Nicola «Se è vero che secondo la confessione cattolica Maria come “Madre di Dio” è accostata alla Divinità e come tale è venerata, è anche vero, tuttavia, che il suo culto non è uguale a quello delle Persone divine della Trinità».
Viene richiamato l´ultimo Concilio: «Infatti la Costituzione Lumen Gentium del Concilio Vaticano II afferma che “il culto della Beata Vergine, quale sempre fu nella Chiesa, sebbene del tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione, prestato al Verbo incarnato come al Padre e allo Spirito Santo, e particolarmente lo promuove».

Questa la conclusione di Di Nicola: «Si tratta, comunque, di culto “del tutto singolare” che, come tale, è differente rispetto alla venerazione dei Santi. Anche, però, rispetto all’adorazione di Dio».

Se è vero che un Ufficio Giudiziario debba valutare la sussistenza o meno di una fattispecie di reato è altrettanto evidente che appaia estremamente controversa la posizione di chi, a capo di un organo giudiziario, travalichi la funzione di legge e si spinga in forme di esegesi dei testi conciliari addirittura entrando nel merito delle caratteristiche specifiche del culto mariano. Sembra strano e marginale questo evento ma forse è il sintomo di qualcosa di più profondo, di un modo di procedere sempre uguale e coerente cons e stesso.

Perché lo sostengo? E perché vi raccontiamo questa controversa e dimenticata vicenda?

Perché forse nell’ultimo decennio si è irrimediabilmente demandato alla Giustizia locale il compito e la competenza di divenire tout court il faro (anche politico) di ogni cosa della nostra città. Un faro che ha costruito e alimentato un suo mito: la correttezza amministrativa nelle cose Emiliane Romagnole è la verità di questa nostra terra.

Anche su questioni strettamente teologiche, anche solo logiche, di piccolo o grande conto. Come abbiamo visto nelle tante storie raccontate in questi mesi.

Non sembra che la strana considerazione sull’evento teatrale sia un caso isolato ma una delle tante “chicche” di un modo di procedere lineare (almeno fino al caso Delbono), sempre e comunque favorevole a un certo mondo politico (la sinistra), sempre avverso a un altro (la destra).

Occorre semplicemente raccontare eventi e non prendere posizione né per gli uni né per gli altri per vedere la realtà per quello che è, anche perché verità e potere non coincidono mai, in qualsiasi territorio si viva. Ma un quesito sorge spontaneo. In questi anni vi sembra che il rappresentante della struttura giudiziaria abbia esercitato troppo marcatamente la propria azione sulla società civile? Vi è parso di notare un qualche “sconfinamento” di funzioni in quell’azione giudiziaria o invece solamente una approfondita e puntigliosa rivisitazione delle fonti (anche canoniche)?

E se, più estesamente, questa visione delle cose ideologicamente esplicita, avesse trovato applicazione sistematica anche per vicende, fatti, casi, molto vicini a certe linee di pensiero politico cittadine, pensate che se ne pagherebbero conseguenze anche in termini di equilibrio sociale? E ritenete che la manifestazione pubblica del proprio credo politico e laico da parte di un rappresentante dello Stato con funzioni giudiziarie possa fare sorgere equivoci sulla sua imparzialità nell’applicazione delle regole?

La legge ha un colore politico nella nostra città? Assolve all’obbligo di analizzare correttamente le condotte di determinate espressioni politiche locali?

Vi è parsa autonoma?

Quesiti a cui vi invito a rispondere.

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