Cgil in soccorso al Pd per salvare L’Opera di Roma


di Antonio Amorosi su Libero a pag 4 del 29 luglio – aggiornamenti in chiaro

E’ stato raggiunto nel pomeriggio di ieri un accordo tra Comune di Roma, Cgil, Cisl e Uil, e fondazione Teatro lirico dell’Opera di Roma allontanando lo spettro della liquidazione coatta del teatro romano, in campo fino a poche ore fa e dovuta all’ingente mole di debiti.

Con 33milioni 569mila euro di buco, nel bilancio nel 2012-2013, e 631 dipendenti riorganizzati nel 2014 in 461 unità a tempo indeterminato e 300 a tempo determinato, il sovrintendente Carlo Fuortes aveva annunciato che «non c’è altra strada che la chiusura».

Visto il mancato accordo con i sindacati Cgil e Fials. Ed oggi, martedì, aveva annunciato «la liquidazione sarà all’ordine del giorno del Cda», dopo l’ennesimo scontro. La manovra di salvataggio elaborata da Fuortes era stata sottoscritta da quasi tutti i sindacati, eccezion fatta proprio per Cgil e Fials Cisal. Ma all’ultimo momento è rientrata proprio la Cgil.

«C’è un equilibrio di bilancio per il 2014, con zero mobilità, zero licenziamenti, lo stesso stipendio e 5 milioni di minori costi rispetto al 2013» che vanno a tagliare le spese generali.

La legge Bray impone ai teatri indebitati che chiedono aiuto allo Stato (Roma ha già avuto 5 milioni su una richiesta di 25) di presentare un piano di risanamento. L’Opera di Roma così come gli altri teatri italiani sono obbligati a mettere almeno in ordine i propri conti ma anche a verificare, novità assoluta, se negli anni, sui propri conti, sono stati fatti pagare impropriamente dalle banche tesoriere interessi sugli interessi (pratica diffusa nel settore) e strumento inserito nella Legge Bray dal M5S e strenuamente difeso da Forza Italia nelle commissioni parlamentari.

«Su questa parte noi siamo d’accordo», ci ha spiegato il segretario generale Fials Enrico Sciarra, l’unica sigla a non aver sottoscritto il piano Fuortes. Cgil e Fials che rappresentano il 25% dei lavoratori avevano scatenato uno sciopero da qualche giorno facendo saltare il 26 luglio la terza replica de La Bohème di Puccini. Con un danno per il teatro che è stato costretta a rimborsare 1.185 biglietti per un importo di 69 mila euro.

Ma il 66% dei lavoratori con più di 300 firme aveva chiesto di convocare un referendum interno che potesse «ratificare» il piano di rientro che il soprintendente deve presentare al governo entro fine mese e sconfiggere così il blocco. E così è stato.

La minaccia ha mantenuto in vita il teatro romano con il sindaco di Roma Marino già pronto a nominare un commissario liquidatore, formare un nuovo organigramma, una nuova orchestra e un nuovo coro. «A questo punto c’è una grande maggioranza di lavoratori che condivide il piano. Seguirà poi il referendum tra gli stessi lavoratori» ha confermato l’assessore capitolino alla cultura Giovanna Marinelli. Sperando che le gestioni antieconomiche non continuino come sempre.

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