Realizzare il proprio sogno oggi è un’attività più rivoluzionaria che in passato. In grado di superare crisi di finanza e banche, limiti e barriere. È il potere della folla, del crowdfunding, vale a dire le campagne di raccolta-fondi in rete che spopolano nel mondo, finanziando progetti e persone che nessun istituto di credito sosterrebbe. Premiati solo sulla base dell’idea creativa di cui si ha fiducia, e dunque si sovvenziona. Ma, manco a dirlo, non in Italia. Nella “repubblica dei tweet” – chiedere al premier... e degli sconti fiscali ai colossi del web e alle banche, chi raccoglie fondi deve prima darne una parte allo Stato, se non vorrà preoccuparsi dei controlli, e poi potrà realizzare la sua idea con quel che resta. Se ce la fa. …. Di A.Amorosi del 16 gennaio 2016 su Libero Quotidiano nazionale a pag. 17
Spieghiamo. Il crowdfunding è una piattaforma con cui tante persone in rete – per l’appunto una folla (“crowd” in inglese) – donano o investono somme di denaro di qualsiasi entità per finanziare un progetto imprenditoriale o iniziative di vario genere. In cambio, il proponente ha diverse opzioni per ricompensare il donatore: un dono – tipo una maglietta o una targa con la citazione dei sostenitori – oppure l’oggetto stesso ma a condizioni economiche più convenienti, o ancora azioni dell’impresa, o anche solo un semplice ringraziamento per aver dato ossigeno all’iniziativa. Un patto siglato tra donatore e ricevente, comunque.
Un sistema diventato qualcosa più di una possibilità, dove vincono le idee e la formula scelta per presentarle al pubblico. Sta spopolando soprattutto presso i giovani che non hanno mezzi, conoscenze e non vogliono o possono accedere a banche o fondi pubblici. Splendido, no? Si finanzia di tutto e per qualsiasi somma. Da tecnologie a basso costo per trovare mine antiuomo a campagne per salvare i pinguini, da giacche e scarpe a concerti, negozi in crisi, film, libri, viaggi, imprese vere e proprie, tecnologiche e non. Nel mondo il giro di soldi che queste iniziative riesce a muovere ha sfondato il muro dei 2 miliardi di euro l’anno, e solo in Europa si calcola arrivi intorno ai 200 milioni. «È una vera rivoluzione nel credito» spiega l’economista Walter Vassallo, autore di “Crowdfunding nell’era della conoscenza”. «Nulla sarà più come prima – aggiunge l’esperto del settore Luca Di Zio – oramai la rete finanzia migliaia di progetti prima senza possibilità».
Così c’è chi come l’australiano Cedar Anderson, figlio di contadini e senza mezzi, chiede qualche migliaia di euro sulla piattaforma “Indigogo” per costruire arnie che permettano di prelevare il miele senza far male alle api, che sono in via di estinzione, e raccoglie più 12 milioni di dollari. O l’americana Cynthia Breazeal, che progetta un simpatico robot da casa in grado di far compagnia agli anziani, raccontare storie ai bambini, salutarti quando torni dal lavoro: chiede 100mila dollari, ne raccoglie 3,7 milioni. Il giornale olandese De Correspondent progetta invece di «andare oltre la notizia», mettere «gli ideali al posto dell’ideologia, il giornalismo prima del profitto»: raccoglie in due settimane 1,3 milioni di euro. Il 29enne di origini indiane Hiral Sanghavi, che per una giacca tecnologica chiedeva un finanziamento di 20mila dollari e in sette ore ottiene 9 milioni. Il videogioco Star Citizen invece ne raccoglie più di 94. D’altronde, negli Stati Uniti una donazione è considerata tale, e lo Stato non interviene se non in modo marginale. Ci sono piattaforme come “Kickstarter” o “Indiegogo”, siti attivi dal 2008, soprattutto sul mercato americano e anglosassone, grazie ai quali innumerevoli progetti sono stati finanziati da persone comuni. Se la cifra richiesta per realizzare l’impresa viene raggiunta entro il tempo prestabilito, alla piattaforma di crowdfunding viene riconosciuta una percentuale intorno al 5%. Non ci sono fidejussioni o garanzie da dare: è un patto di fiducia e a volte, se l’obiettivo fissato in partenza non viene realizzato, il proponente dovrà restituire i soldi ai donatori.
Anche in Italia se ne fa una gran parlare, ma oltre ad essere in ritardo da noi il sistema non ha fatto breccia perché non funziona allo stesso modo. Una normativa chiara e completa ancora non c’è. Bisogna mediare tra le osservazioni dell’ufficio del ministero delle Finanze, Banca d’Italia, le norme dell’Agenzia delle entrate, la Consob che regola il mercato e poi chiedere a un commercialista “sgamato” per avere il quadro realistico ed evitare brutte sorprese. Sì, perché da noi la donazione in questo caso è considerata un reddito aggiuntivo che va a sommarsi a quello di ognuno. Quindi se sei povero o hai un reddito basso e di colpo ricevi una somma grazie alle donazioni, secondo il redditometro sei diventato ricco e quindi ti verrà applicata l’aliquota dal 23% a 43% a seconda del reddito. Scatta di norma il controllo. Se invece sei un milionario e la donazione è mettiamo di 50mila euro, non incidendo in modo significativo sul reddito, non farà scatteranno i controlli e la tassazione. Quindi in sostanza da noi il crowdfunding funziona alla rovescia: favorisce chi i soldi per belle idee già ce li ha.
Peraltro, tra le istituzioni nessuno è competente in materia e non si sa chi dovrebbe districare la matassa. Così quasi tutti i commercialisti sconsigliano di usare questo sistema. Ci spiega lo studio Pili di Bologna: «Non esiste una legge chiara e in assenza l’entrata può essere tassata come reddito a tutti gli effetti». In parole povere, appena ricevuta la somma ti si può presentare un funzionario dell’Agenzia delle Entrate che ti decurta anche metà della somma in tasse. «E l’Agenzia prima o poi arriva» spiega ufficiosamente un altro studio. Il sogno di farcela con i propri mezzi diventa così quasi impossibile. Così come impossibile, in Italia, sarebbe cavarsela come quella il 22enne Aktarer Zaman, che dopo aver creato un sito gratuito che consente di trovare voli a tariffe stracciate viene per rappresaglia denunciato dalle compagnie. Ma lui si difende con un crowdfunding, raccogliendo in poche ore 80mila euro per le spese legali. Potenza di un Paese liberale!
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