Surfa senza una gamba e salva un bambino ustionato, articolo per Panorama


L’incredibile storia di Fabrizio, che senza un arto vuole essere ancora un campione di surf. E la storia del piccolo Wafi, che a Bali rischia di perdere il suo per un’ustione. Due vicende che la vita ha unito per sempre. Grazie al caso. E a molto coraggio

Antonio Amorosi per Panorama dell’8 gennaio 2015 (pubblicazione qui del 29 gennaio 2015)

 

Indonesia, Bali, spiaggia di Kuta: onde alte quanto un palazzo di tre piani. Sotto il sole e sotto i gabbiani, tra cielo e mare, vorticano decine di tavole da surf. Fisici scolpiti scivolano fuori dalle centrifughe schiumose dei tunnel d’acqua.

Uno si nota, in particolare. Ha del nastro adesivo intorno a una gamba. La gente lo guarda sorpresa, qualcuno scatta una foto. Perché sembra incredibile, ma la gamba destra del surfista è una protesi ed è legata alla coscia con lo scotch da pacchi. Panorama 1

Dopo un «floater», la manovra che ti fa stare in cima all’onda da 2 metri, l’uomo plana sull’acqua e si avvicina a riva. Qui prende la stampella ed esclama: «Belin, sta protesi non tiene più!». Si perché il surfista senza una gamba é italiano, si chiama Fabrizio Passetti. E’ nato 32 anni fa a Genova, ma vive a Varazze (Savona): é cuoco, e soprattutto atleta appassionato di surf con una grinta da leoni. A 17 anni, dopo un incidente in moto, gli hanno amputato la gamba destra. Quando era in cima alle classifiche nazionali del campionato juniores di surf.

Dopo tante operazioni e troppi problemi tra ospedali e centri ortopedici, Passetti riesce a mettere da parte i soldi per volare a Bali e  domare i cavalloni dell’Oceano Indiano. Con una sola gamba, però. Si perché l’altra, una protesi appena fatta e consegnata il giorno prima di decollare, si è già aperta come un melone.

Doveva «tenere» perfettamente l’acqua, invece l’invaso si è spaccato, i rivetti e i lacci saltati, così anche le viti, scoppiati i cuscinetti a sfera e la spugna s’è intrisa d’acqua.

«Magari avere una protesi come quella di Mike Coots!», dice Passetti, riferendosi al più famoso surfista amputato, cui uno squalo ha strappato polpaccio e piede. «Ma qui in Italia manco a parlarne! Altro che titanio e carbonio» tuona Fabrizio guardando la sua.

Il giovane però non si arrende e la ripara alla meno peggio con quello che si può trovare in un ferramenta. Scotch marrone, un po’ di silicone da idraulico e resina istantanea per tavole da surf. «Non è facile trovare un ferramenta a Kuta, un’isoletta in mezzo al mare dell’Indonesia!» Così Passetti chiede indicazioni al titolare di un chioschetto vicino alla spiaggia dove si ferma a mangiare. Ma, come spesso accade, certe strade portano più a un destino che a una destinazione.

E qui inizia la seconda parte della nostra storia. Forse la più bella. Perché il titolare del chioschetto si chiama Sudarmaji Moch, ed è soprannominato «The Legend» perché é a sua volta un campione di surf.

Tra i due la simpatia è immediata. Onde e surf sono la loro vita. Diventano amici:  l’indonesiano aiuta Fabrizio a trovare quel che gli serve e lo invita a cena.

«The Legend» abita in una baraccopoli con moglie e figli. La casa è come un garage di 20 metri quadrati, con il tetto di lamiera. Vivono per terra con un secchio fuori dalla porta, dove si lavano tutti quelli della strada. Fabrizio, che a Varazze ha un bambino di 6 anni che lo aspetta, non può non notare il figlio più piccolo di Sudarmaji.

Si chiama Wafi, ha 4 anni e nasconde la gamba avvolgendola tra gomitoli di garze. L’italiano chiede cosa sia successo e scopre che il bimbo si è bruciato una una gamba e una coscia fino all’ombelico, in seguito all’esplosione di una bombola a gas. The Legend, però, non può più curarlo. Ha già speso i pochi soldi che aveva negli ospedali locali (la sanità a Bali è molto costosa e non c’è un sistema pubblico): ora non ha più denaro e il piccolo Wafi non può che starsene sdraiato per terra, in condizioni sanitarie a dir poco precarie, avvolto da garze seccate mentre il padre fa tre lavori per racimolare denaro.

Fabrizio conosce la sensazione: Il buio sul futuro. Per anni é passato da un’ infezione all’altra e da un ospedale all’altro. All’inizio non sapevano come salvarlo. Solo in Svizzera ci sono riusciti. E purtroppo non è ancora finita perché nell’ultimo anno è rimasto bloccato in un letto d’ospedale per 8 mesi senza sapere se sarebbe tornato a camminare. Allora Fabrizio consegna a Sudarmaji i primi contanti che riesce a mettere insieme, circa 500 euro. Gli compra le medicine più urgenti, garze e pomate, assiste la famiglia e accompagna il bimbo in ospedale. Prova ad interessare la Croce rossa internazionale.

Ma tutto è troppo complicato e lui non riesce a muoversi agilmente con la protesi rotta e solo un motorino in affitto per farsi 60 chilometri tutti i giorni, tra uffici e ospedale. Così lancia su Facebook una raccolta fondi tra gli amici di Varazze. Molti rispondono, nuovi amici si aggiungono, e tanti non si conoscono nemmeno, ma è un grande successo. In Italia sono in tanti ad appassionarsi alla storia del ragazzino della baraccopoli indonesiana.

Arrivano i primi 350 euro sulla poste-pay di Fabrizio, in attesa di aprire un conto corrente a Bali per la famiglia Moch. Le commissioni bancarie per inviare i soldi dall’Italia però sono molto alte, così gli amici del bar di Varazze si mobilitano e divulgano un volantino con la foto di Wafi e di Fabrizio per raccogliere tutte le donazioni. In poco tempo riescono a fare un versamento di 1400 euro.

A quel punto, «The Legend» è in lacrime dalla felicità. Wafi può tornare in ospedale a operarsi, con la speranza di ricominciare a camminare. Anche Fabrizio tra scotch e silicone tiene duro e cerca di camminare, ma la sua protesi ormai non sta più insieme. Deve farsela ricostruire. «Se fossi in America troverei uno sponsor per dimostrare che l’impossibile non esiste. E io sono un pò l’impossibile» dice ridendo.

Fabrizio oggi è tornato in Italia da suo figlio, ma ha un nuovo sogno da realizzare. Nel frattempo gli è stata riconosciuta l’invalidità al 100 per cento ma incassa un assegno mensile di soli 270 euro. Intanto deve trovare un lavoro, uno sponsor per surfare, lanciare altre collette per completare le cure di Wafi. Soprattutto, è determinato a ottenere un modello di protesi che nessuno sembra saper fare.

Perché, come dice, «io ho bisogno di camminare ma ancora di più di entrare in mare». E’ così determinato che comincia a farsi l’impronta del moncone da solo con le bende gessate; cerca i materiali adatti e convince un’officina ortopedica a seguire le sue indicazioni. La nuova protesi è un work- in-progress che si può seguire su Facebook, con la grande famiglia di Fabrizio: «Perché sulla terra ferma zoppico, ma sull’acqua oramai so quasi camminare»dice lui ridendo, con la sua voglia di vivere incontenibile. E conclude: «Poi vedremo di fare miracoli. Chissà. Speriamo…».

 

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