Coop rossa fa crac. E i soci di un’altra rischiano di perdere 1 miliardo di euro


a pag 14 su La Verità di oggi 30 dicembre 2016 in edicola

A gambe all’aria Coop Sette: buco da 790 milioni. Unicoop Tirreno viene bocciata da Bankitalia, intervengono le «sorelle»

(……In attesa di leggerlo on line cercalo in edicola -) aggiornamento delle ore 20.15

 

di Antonio Amorosi

In questi giorni un’altra coop ha fatto crac, CoopSette di Reggio Emilia, con un buco da 790 milioni di euro e una seconda, Unicoop Tirreno, operante tra Toscana, Lazio e Campania, è stata salvata con 170 milioni dalle principali coop di consumo (i supermarket). Nel silenzio delle tv, sotto il comando Pd, continua il dissesto delle coop che con la scusa del mutualismo e del solidarismo sono fuori da ogni controllo. Sistema che da sempre finanzia la sinistra ma che, chissà perché, non trova spazio né nelle tv né nelle istituzioni di controllo, anche se fa sparire migliaia di posti di lavoro e milioni di euro di creditori e risparmiatori.

Se CoopSette, che ha costruito opere strategiche ovunque, come la Tav o la nuova stazione Tiburtina di Roma, è un colosso già decotto dalla crisi dell’edilizia, è Unicoop Tirreno, la super cooperativa di consumo con oltre 1 miliardo e 98 milioni di euro di prestito sociale, a dover destare interesse. Il rischio gira tutto intorno al prestito che i soci- consumatori danno alle coop: risparmi che finiscono nella cassaforte delle cooperative. Perché in questo mondo, oltre alla fetta di appalti nelle grandi opere pubbliche garantite dalla politica, tutto ruota intorno al prestito sociale, che molte coop utilizzano anche per operazioni in Borsa.

 

BANKITALIA

Qualche mese fa Bankitalia si è accorta che Unicoop Tirreno, mentre era attiva in Borsa, rischiava l’insolvenza perché il rapporto tra il proprio patrimonio di 221 milioni di euro, e il prestito sociale di 1 miliardo e 98 milioni (versati da 120.000 soci) era ad alto rischio. Il rapporto era di 1 a 5. Bankitalia invece ha fissato il rapporto tra patrimonio e prestito a 1 a 3. Ma se Unicoop va in crisi chi lo recupera il miliardo di euro dei consumatori? Così Unicoop Tirreno è stata salvata con 170 milioni di euro arrivati dalle principali coop di consumo italiane e da Legacoop. «Per dimensioni e caratteristiche è la più grande azione cooperativa di sistema degli ultimi 15 anni» ha dichiarato alla Repubblica Stefano Bassi, presidente dell’Associazione nazionale cooperative di consumo. L’attività di Borsa è vietata alle coop e fa guadagnare a quelle di consumo di Legacoop tre quarti delle proprie entrate. Solo un quarto entra dalla vendita delle merci (analisi R&S Mediobanca, dicembre 2014). Senza operazioni di Borsa e prestito sociale quasi nessuna coop è in grado di stare in piedi. Nel 2015 quello delle coop di consumo ammonta a 10,9 miliardi di euro, quasi coincidente con quanto investito in Borsa.

 

IN BORSA

A conferma ulteriore di quanto sia importante il prestito sociale basta guardare i diversi improvvisi crac degli ultimi anni. Ogni volta il prestito è la prima cosa che sparisce: 80 milioni di euro in CoopCostruzioni di Argenta (per un crac da un miliardo), 103 milioni in Coop Operaie di Trieste, circa 30 milioni in Coopca Friuli, 9,2 milioni in Cesi e 6,7 milioni in 3Elle di Imola, 12 milioni in Coop Di Vittorio di Fidenza. In queste cooperative tutto sembrava andar bene finché qualcuno non ha presentato una denuncia.

E la legge italiana recita, secondo l’articolo 10 comma 2 del D.L. n. 385 del 1993: «La raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche», quindi il prestito sociale come è organizzato dalle coop non è consentito e non dovrebbe neanche esistere. Ma per Bankitalia le coop possono attuarlo non «a vista». Peccato che le cooperative lo facciano proprio «a vista» con i libretti al portatore. Il prestito viene pubblicizzato come a bassissimo rischio, ma in caso di insolvenza, come nei crac, il socio perde tutti i suoi soldi. E cosa succede in Italia quando una coop fallisce? I fallimenti vengono solitamente trasformati in concordati preventivi, misura più lieve che nel gergo dei cooperatori si chiama «sarcofago di Chernobyl». Anche una coop può fallire ma basta che il collegio sindacale o un qualsiasi altro organo di revisione chieda al Ministero dello Sviluppo (Mise), che «controlla» le coop, la liquidazione e la procedura giudiziaria si blocca. Il Mise nomina un curatore fallimentare, che è solitamente un aderente ad una centrale di riferimento come Legacoop. Così la procedura di liquidazione si gestisce in famiglia, senza mettere documenti nelle mani di terzi o di magistrati.

 

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