Abbiamo pagato anche i contributi ai politici tra cui Renzi


Roma – Perché nessuno cambia la legge che consente ai politici italiani di farsi «rimborsare» integralmente dall’ente locale lo stipendio del vecchio lavoro che non svolgono più, perché «impegnati» con la politica (abbiamo raccontato il «privilegio» di chi è eletto in comuni, province, regioni e comunità montane, sabato 14 giugno su Libero)? Perché?

Perché, per i numeri, il sistema coinvolge ed ha coinvolto una fascia impensabile di politici, ex lavoratori dipendenti ma anche autonomi e per una gamma di benefit che riguarda anche i contributi e gli oneri previdenziali e pensionistici.

Un sistema che ha interessato anche l’attuale premier Matteo Renzi (nella foto è con il padre Tiziano), che come Libero ha ampiamente documentato, per circa nove anni si è visto pagare i propri contributi alla pensione dalle casse pubbliche. Assunto come dirigente dall’azienda di famiglia, la Chil srl, il 27 ottobre 2003, undici giorni prima che l’Ulivo lo candidasse alla presidenza della Provincia di Firenze, è passato da un contratto super-economico e pensione bassissima, coperte dall’azienda di papà, alla ricca pensione da dirigente pagata dalla collettività. La Chil si è vista arrivare, dal 2006 al 2013, grazie all’investitura da dirigente, come Tfr per Matteo Renzi ben 34mila euro, 19mila dalla Provincia di Firenze e 15mila dal Comune.

Ma ecco come i contributi e gli oneri previdenziali e pensionistici vengono pagati anche ai lavoratori autonomi. Questi ultimi non accedono al privilegio dei lavoratori dipendenti e di diverso livello, eletti negli enti locali, cioè (come abbiamo ampiamente descritto nella precedente inchiesta) di farsi pagare integralmente dall’ente lo stipendio del lavoro che non riescono più a svolgere, ma si fanno rimborsare solo i contributi e gli oneri previdenziali.
Per i lavoratori dipendenti che chiedono l’aspettativa, l’Amministrazione, provvede al pagamento degli oneri previdenziali; per i lavoratori autonomi invece che scelgono di farsi pagare integralmente i contributi dall’ente locale c’è l’obbligo di non svolgere più alcun lavoro, adottando una sorta di aspettativa a loro volta.
Lo stabilisce l’articolo 86, comma 2 del Testo degli enti locali. Altrimenti si può pagare, come tutti, i propri contributi continuando a lavorare, insieme a svolgere l’attività politica e quindi a incassare l’eventuale gettone di presenza, senza gravare così sulle casse dello Stato.
A garanzia dei cittadini gli enti locali ed in ultima istanza il ministero degli Interni controllano che nessuno faccia il furbo.

Ma ecco la novità. Per circa dieci anni il ministero degli Interni ha interpretato il versamento degli oneri e contributi pensionistici a favore degli amministratori locali proveniente da un lavoro autonomo come «una compensazione per la riduzione degli affari derivante dall’espletamento del mandato amministrativo», non effettuando praticamente alcun controllo.
Cioè il versamento degli oneri viene fatto comunque, indipendentemente dall’obbligo di legge che impone agli autonomi, che vogliono ricevere gli oneri previdenziali dalle casse pubbliche, di non lavorare. Grazie all’insistenza di un consigliere di quartiere del Comune di Bologna, eletto con Forza Italia, Marco Mingrone, siamo riusciti a consultare addirittura un documento che prova come per tutta Italia questo privilegio sia stato in pratica cristallizzato, con nessun controllo di sorta e pagamenti forfettari di conseguenza per tutti coloro che ne facevano richiesta.
Tutto questo almeno dal giorno in cui il ministero ha espresso il parere, a dir poco garibaldino, e c’è ne voleva visti i già abbondanti privilegi che garantisce la legge, con un atto del 17 febbraio 2004. Il consigliere di Forza Italia che ha presentato un’interpellanza per chiedere come fosse possibile che il proprio presidente di quartiere dichiarasse un reddito superiore al previsto, visto che non lavorava, si è visto rispondere con il parere del ministero degli Interni che faceva da sorta di «tana libera tutti», cioè sanciva che negli anni nessun controllo vi era stato sui politici italiani per verificare se una volta eletti continuassero o meno a lavorare.

Scavando ancora scopriamo che almeno da diversi mesi è in corso sul tema uno scontro istituzionale di non poco conto. I giudici contabili delle Corti dei conti di tre Regioni Basilicata, Liguria e Lombardia si sono impuntati pretendendo che il ministero degli Interni applicasse la legge.

E così a marzo di quest’anno hanno inviato all’Ente una richiesta di chiarimenti sostenendo che con questa interpretazione bislacca non si applica la legge e i lavoratori autonomi ricevono due benefici incompatibili: l’indennità di funzione e il versamento dei contributi sostitutivi, mentre non dovrebbero averli perchè lavorano.
Solo dopo le insistenze dei giudici il ministero degli Interni ha cambiato idea e il 9 aprile 2014 ha modificato il parere di dieci anni prima, abbracciando l’interpretazione delle Corti dei conti che altro non fa che applicare la normativa.
Resta l’arcano: chi restituirà tutti i soldi che in 10 anni di mancati controlli hanno svuotato le casse dello Stato per le migliaia di politici a cui abbiamo pagato i contributi?

pubblicato sul quotidiano nazionale Libero il 17 giugno 2014

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