I veleni di Bologna – 1500 tonnellate di rifiuti tossici al centro della città


«L’elefante bisogna farlo a fette perché se lo mangiamo tutto intero non gliela facciamo a digerirlo», ripete un dirigente della controllata Sotris di Hera spa, il colosso emiliano di energia, acqua e gas. L’elefante sono le «1500 tonnellate» di rifiuti tossici pericolosi che i funzionari della holding dicono di avere appena ritrovato a Bologna, nel cantiere aperto di fianco agli uffici, sotto la sede storica in viale Berti Pichat 2/4. I funzionari di Hera non sanno come «farli sparire»

PUBBLICATO SU LIBERO NAZIONALE IN PRIMA PAGINA L’ 1/07/2014Libero 1 luglio

E’ il 28 maggio 2008 e un reparto della Guardia di Finanza li sta intercettando per un’altra indagine su appalti truccati. Si imbattono per caso in questa storia, che non conoscerà mai nessuno. Gli intercettati ripetono che Hera «non vuole comunicare niente a nessuno, vuole fare in fretta». I funzionari parlano di «due vasche», piene di «cianuri» e «naftalene», cancerogeni e volatili quindi assorbibili respirando, e di «creosoti», quell’olio che rende le traversine ferroviarie indistruttibili ma che in più è mutageno, cioè cambia il Dna.

I funzionari propongono di «confezionarli in fustini idonei per la termodistruzione a Ravenna», riferendosi alla possibilità di farli sparire bruciandoli, non prima di «insaccarli con big bag lì in Sotris», la controllata di Hera che si occupa di rifiuti industriali e i cui vertici oggi, ma per un’altra vicenda, sono indagati dalla procura di Milano per traffico illecito di rifiuti tossici. Non siamo nella Terra dei fuochi o a Casal di Principe, ma «al centro di Bologna», come ripetono preoccupati gli intercettati, sul viale nord est, a pochi minuti da Piazza Maggiore, nella città che la sinistra italiana ha eletto capitale della cosiddetta buona amministrazione.

Nella sede storica della holding svetta un imponente gasometro, il Man, frutto dell’archeologia industriale, che ricorda la vecchia officina dove dal 1862 al 1960 si è distillato il carbon fossile e trattato il gas. Il carbone «si lavava dal naftalene» e il gas da «cianuri, solfocianuri, vari catrami ed ossidi di azoto». In parte le sostanze rinvenute nel 2008 in quella che gli intercettati chiamano «vecchia officina».

Li ci sono «due vasche non previste… dove c’è della robaccia»… «diversa rispetto a quello che abbiamo fino ad adesso», che trovano di solito, dice uno di loro. I funzionari parlano di «roba nera molto densa» e di «blocchi di materiale argilloso blu» che «puzzano terribilmente… c’hanno un mucchio di problemi», al punto che non possono aprire le vasche. Perché il puzzo anche con un «incenerimento in discarica» si sentirebbe a distanza di chilometri, sintetizza la finanza. I discorsi sono febbrili.

I responsabili Hera che si occupano degli smaltimenti, dalla base ai vertici, sembrano sapere e si sono recati sul posto. I colleghi di Bologna stanno «pressando da tutte le parti per portare via quella roba il prima possibile», dicono. Pressioni che arriverebbero direttamente dalla direzione: «Ti dicono… tu comunque trovami una soluzione fuori da Hera», accenna uno di loro. Il funzionario che dirige la Sotris, la controllata che per la holding smaltisce rifiuti accenna: «vogliono trovare la soluzione in fretta e di nascosto in casa mia» «due cassoni me li han già rifilati».

1Il 18 giugno 2008 i funzionari Hera comunicano un rinvenimento al Comune di Bologna e all’Arpa. La GdF visiona la denuncia. Nel testo si parla di «uno strato omogeneo di colore azzurro intenso e fortemente maleodorante» non previsto dal piano di lavoro ed è necessaria una «messa in sicurezza». Per la GdF «salta all’occhio macroscopica la divergenza tra la reale data del rinvenimento, il 28 maggio 2008, e quella dichiarata nella denuncia, il 18 giugno 2008, per materiale rinvenuto il 17».

Le Fiamme Gialle comunicano i fatti al Pm Flavio Lazzarini che segue l’indagine (proc. 5033/08), citandogli il Codice degli appalti (D.L n°22 del 5/2/1997 art.17 comma 2) che dà 48 ore per segnalare il rinvenimento delle sostanze inquinanti, pena prevista «l’arresto da un anno a due se l’inquinamento è provocato dai rifiuti pericolosi». Il Pm porta due dirigenti, un funzionario di Hera e un tecnico, davanti a un giudice, accusandoli di falso ideologico. Ma il giudice tre anni dopo, nel 2011, archivia e dichiara il «non luogo a procedere». Della vicenda l’opinione pubblica non ne saprà mai nulla.

Fino al 14 maggio 2014 quando un costruttore ferrarese, e console onorario della Polonia in Italia, Corrado Salustro, la riporta a galla, depositando sulla scrivania del procuratore capo di Bologna una denuncia per «frode», «truffa aggravata» e «plusvalenze» ottenute con la vendita di un «terreno altamente inquinato» nei confronti di Hera spa. Il colosso gli avrebbe proposto la vendita dei terreni di Berti Pichat per costruire la nuova sede direzionale della multiutility.

Salustro è Ad della Cogefer srl e da trent’anni costruisce caserme che poi cede in affitto ai carabinieri. Nell’estate del 2011 gli viene offerto un affare incredibilmente vantaggioso. Comprare da Hera un lotto di terreno su cui edificare un albergo e la nuova sede del colosso. Nell’accordo Hera, già all’atto della vendita, fornisce una fideiussione di 39milioni di euro, essenziali per Salustro per ricevere i finanziamenti in banca e rientrare dei 32milioni, costo dell’operazione. Salustro diventerebbe proprietario dell’albergo e della futura sede di Hera che poi gli affitterà per 12 anni. Non solo, Hera si fa carico delle opere di urbanizzazione primaria e di tutte le autorizzazioni necessarie compreso il piano di bonfica.

3L’operazione permette a Hera di scrivere la vendita del lotto nelle voci di attivo del bilancio 2011. Ma il lotto è dentro l’area di viale Berti Pichat 2/4, la stessa delle «1500 tonnellate» di rifiuti tossici del 2008.

Sono anni che la multiutility prova a venderla senza successo. Salustro ha anche impegnato tutto il suo patrimonio in un fondo d’investimento chiuso per aprire una linea di credito necessaria a rinforzare l’operazione. Il 22 agosto 2012 arriva dal Comune di Bologna il permesso di costruire e il 6 settembre il nulla osta dalle Belle Arti. Le parti possono chiudere le ultime pratiche per dar seguito al rogito. In realtà l’atto di vendita viene posticipato per tre volte, fino a marzo del 2013.

Intanto il costruttore scopre che il fondo è «vuoto» e ci sono gravi «irregolarità». Hera non presenta mai la fideiussione bancaria, elemento essenziale per l’operazione. Il costruttore non sa cosa fare e messo alle strette cerca di vendere il business ad un imprenditore amico, la Fraer srl di Franco Soldati di Udine. Ma l’accordo, che sembra andare in porto con il favore di Hera, all’ultimo momento sfuma.

Salustro resta in mezzo al guado finché non si vede recapitare dei documenti: gli atti di indagine della Finanza sui rifiuti tossici in Berti Pichat, un analisi di Hera del 2012 sul «rischio tossicologico e cancerogeno non accettabile», la prescrizione della Conferenza dei servizi di Bologna di una bonifica ingente ed estesa a tutta l’area almeno fino al 2017. Così si decide a denunciare civilmente e penalmente Hera, chiedendo un risarcimento danni per quasi 53 milioni di euro. L’imprenditore non sapeva di comprare terreni «così contaminati da mettere in discussione qualsiasi progetto. Le bonifiche costerebbero cifre ciclopiche», dice. E la storia è grave anche per i cittadini di Bologna. Ne viene a conoscenza il consigliere regionale della Lega Nord Manes Bernardini che interroga la Regione.

Dove sono finite le 1500 tonnellate di rifiuti tossici? Sono state incenerite a Ravenna? Sono ancora in Berti Pichat? C’è contaminazione della falda acquifera? La Regione non ha ancora risposto, chiedendo altro tempo, mentre Hera ha rimesso nell’attivo di bilancio 2012 l’ennesima operazione di vendita del terreno che non si è conclusa.4

 

 

 

Cosa è Hera – E’ il colosso italiano dei servizi ambientali

 

La holding Hera è la principale azienda italiana per servizi ambientali e la seconda local utility. Controllata dai comune della provincia di Bologna, Modena, della Romagna, Ferrara, Padova, Trieste a cui distribuisce parte dei ricavi, serve tre milioni di abitanti in Emilia Romagna, più una parte della provincia di Pesaro-Urbino e dopo l’acquisizione di Acegas, Padova e Trieste. La città di Bologna ha il numero più elevato di azioni ricevendo solo quest’anno 13milioni di euro in dividendi.

L’holding mette a bilancio per il 2013 ricavi per 4,5miliardi di euro e un utile di 181milioni (+13%). In epoca di crisi passa dai 6621 dipendenti del 2011 agli 8409 del dicembre 2013, di cui 8219 a tempo indeterminato. Nel 2014 per abuso di posizione dominante è stata multata dall’Antitrust per 1,9 milioni di euro. Nel 2004 per 4000 tonnellate di rifiuti tossici, smaltite nelle campagne di Forlì, si vide arrestate dei propri dirigenti. Nel 2014 i vertici della controllata al 97% Sotris sono sotto indagine dalla Procura di Milano per aver bruciato rifiuti tossici nell’inceneritore di Ravenna.

Rappresenta per antonomasia uno dei fortini inespugnabile delle partecipazioni locali in cui sindaci e governatori piazzano consiglieri e gestiscono il potere reale. Per potenza economica e scelte strategiche detta le politiche dei Comuni. Senza considerare gli appalti e le trattative private affidate ai soliti gruppi. Tra gli investitori privati banche della cooperazione rossa e bianca e cooperative.

Molte di queste, che ne detengono le azioni, se ne aggiudicano gli stessi appalti. È un potere economico che significa voti, posti di lavoro, nomine e poltrone. Polemica recente è stata posta sullo stipendio di presidente Tommasi e per l’Ad. In seguito alla proposta di Matteo Renzi di mettere un tetto ai dirigenti pubblici, non superiore ai 240mila euro, è scoppiato il caso di Tomaso Tommasi di Vignano e company. 457mila euro di stipendio per lui (ritoccati dai 475 mila del 2012) e 489mila euro per l’Ad Maurizio Chiarini.

I due guadagnano di gran lunga più del presidente degli Stati Uniti Barak Obama (293mila euro). Ma questo è il minimo. Nel «suo territorio» non c’è giornale, televisione, iniziativa ed happening di un certo livello che Hera non finanzi con donazioni e inserzioni pubblicitarie.

 

 

 

Autodifesa della multiutility. E il pm Lazzarini si concentrò solo sui ritardi nella denuncia

 

A richiesta di chiarimenti, Hera ci ha risposto: «Il 28 maggio 2008 iniziavano i lavori di scavo relativi alla rimozione del terreno per la realizzazione delle fondazioni della ricostruzione dell’edificio ‘Vecchia Officina’.

E’ stato rilevato uno strato omogeneo di terreno, (non previsto dal piano lavori), che ad una successiva analisi è risultato contaminato da cianuri e dunque è stato classificato con codice CER 170503 (terra e rocce contenenti sostanze pericolose). La comunicazione agli Enti di Controllo è avvenuta senza indugio alcuno non appena pervenuto l’esito delle analisi che hanno consentito di attribuire il predetto codice». Hera parla anche dei rifiuti: «Il materiale contenente cianuri (c.a. 27 mc pari a c.a. 44 ton) è stato prontamente rimosso e conferito agli impianti gestiti da Sotris Spa di Ravenna.

Questa ha provveduto al conferimento in discarica per rifiuti pericolosi di circa 34 tonnellate e all’incenerimento presso l’impianto per rifiuti pericolosi ‘F3’ delle rimanenti 10 tonnellate» E che «L’area della ‘Vecchia Officina’ è stata bonificata da tutti gli agenti inquinanti rilevati».

2Abbiamo interpellato anche il Pm Flavio Lazzarini, il magistrato che seguiva le indagini ci ha detto: «Fare nel 2014 un richiamo di memoria mi riesce di certo non facile. Ricordo che i rifiuti sono stati denunciati con un ritardo. Il problema era che la denuncia doveva essere fatta subito»

«Perché però viste le intercettazioni così esplicite sui rifiuti, non è stata aperta un’altra indagine con interrogatori e perizie?» La risposta: «… Mi sembra di ricordare che non fossero stati occultati in una maniera… ma trattati con un po’ di calcolo… ».

Insisto non convinto, «Ma dalle intercettazioni risulta che volessero bruciarli. Parliamo di rifiuti molto pericolosi, di cianuri, naftalene, creosoti! Perché non avete aperto un’altra indagine visto che tecnicamente le intercettazioni di un caso già aperto non si possono usare come prova per un altro capo di imputazione?». «Mhh… non cambia assolutamente niente. L’importante è agire sul massimo degli apporti, del buon senso. Fare tutto ciò che si può fare. Se dovesse emergere qualcosa si dà notizie a tutte le polizie competenti del settore per ricavare quello che si può, potendolo». E sui rifiuti continua: «Secondo me la tipologia del rifiuto è stata valutata e senz’altro c’era il percorso per trattarla. La denuncia poi anche se tardiva c’è stata. Se ci fosse stato un cantiere fresco facevamo un prelievo dei campioni ma non c’era. Ma sono passati anni e non ricordo bene… »

«Ma non è stata data notizia di questa vicenda perché nessuno ne ha mai saputo nulla!?» replico.

Lazzarini: «Io le dico per onestà. Quando ci sono gli atti di un indagine si fa quello che si può. Io le ho risposto per cortesia ma non lo ricordo». E spiega: «Il limite delle inchieste grosse e articolate, dove si inizia ad indagare per appalti, ma c’è un rivolo di qua e un rivolo di là, ci si trova che delle tante notizie raccolte nelle intercettazioni può rimanere qualcosa indietro. Per fortuna se i reati non dovesse vederli il Pm (Lazzarini, ndr) poi l’inchiesta va al Gip che legge gli atti e dice “guarda faccio una notizia di reato”. Se lo dice il giudice … insomma».

«In sintesi non ha ravvisato una pericolosità tale da aprire un’altra indagine e fare una notifica di reato?» chiediamo di nuovo. Lazzarini: «Non lo ricordo con esattezza ma per quello che mi posso ricordare, se non è stato fatto, era nella lettura di quello che fino a quel momento emergeva».

 

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La vicenda giudiziaria si è chiusa nel 2011 quando nei confronti di alcuni dirigenti e funzionari di Hera venne chiesto solo il rinvio a giudizio per falso ideologico (l’accusa di aver dichiarato una data falsa del rinvenimento dei rifiuti) e non vennero aperte altre indagini. Vennero assolti con «il non luogo a procedere».

Il giudice del caso citò «l’art 270, comma 1 c.p.p» che «stabilisce che non sia possibile utilizzare i risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte» ma aggiunse: «peraltro nulla vieta che i contenuti delle intercettazioni possano originare notizie di nuovi reati, su cui incentrare nuove investigazioni»

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